Commento al Vangelo, Quaresima e Pasqua

Il pastore bello dà la sua vita

Buon pastore, Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna

Commento al Vangelo della IV domenica di Pasqua

La quarta domenica di pasqua è denominata “La domenica del buon pastore”, perché nei tre anni A, B e C, si leggono passi diversi del capitolo 10 di san Giovanni incentrato sui discorsi di Gesù su di sé come buon pastore del gregge. 

Gv 10, 11-18
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Guardando anche ai versetti precedenti, Gesù si rivela prima come porta del recinto delle pecore e poi come buon pastore.
Dice: “Io sono” la porta delle pecore, “io sono” il buon pastore, riecheggiando le parole di Dio a Mosè dove “Io sono” è il nome che Dio presenta come il suo nome.
Gesù è la porta che permette alle pecore di uscire dalla ristrettezza dell’ovile e pascolare in libertà. Se la porta è chiusa entra il ladro da un’altra parte e ruba, uccide e distrugge.
Per Gesù il ladro è chi è venuto prima di lui e, anche, velatamente, chi adesso guida il suo popolo.

Poi per due volte dice: “Io sono il buon pastore”. Anzi in greco: “pastore bello”, dove la bellezza non è tanto una connotazione fisica, ma bellezza di tutto il suo essere e di tutto il suo agire, in contrasto con il pastore brutto che è il mercenario, a cui non importa delle pecore e se vede venire il lupo fugge.
Gesù spiega con tre azioni in cosa consiste la sua bellezza. Sono le tre azioni con le quali il pastore bello dà la sua vita.
Traduciamo con “dare” il greco “tithēmi”, che significa porre, mettere, collocare.
Proviamo a dare più sfumature all’unico verbo.
La prima bellezza del pastore è che “espone” al pericolo la propria vita  quando vede venire il lupo.
Gli interessa delle pecore e si gioca la vita, la fama, il prestigio, l’onore.
Il mercenario non conosce le pecore, le tratta in gruppo indistinto, il pastore bello invece dice: ”Conosco le mie e le mie conoscono me” e questa conoscenza reciproca, che nella Bibbia è conoscenza d’amore, è uguale a quella tra il Padre e il Figlio.
Quando Gesù ripete “do la vita per loro” si può intendere: “dispongo” la mia vita, non la tengo per me come tesoro geloso, questa vita d’amore con il Padre, ma la partecipo alle mie pecore  che entrano nella comunione d’amore che c’è tra il Padre e me.
Quindi riassumendo: il pastore bello dà la sua vita, nel senso che la “espone” al pericolo per amore delle pecore e “dispone” della sua vita per loro.
Gesù ha altre pecore non di questo recinto che ascolteranno la sua voce e insieme diventeranno un solo gregge (non un solo recinto!), un solo pastore.
Non c’è la congiunzione “e” che unisce “un solo gregge” a “un solo pastore” ma una virgola, perché gregge e pastore sono uniti, sono una cosa sola.


“Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.”.
Il Padre ama questo pastore bello perché, rendiamo anche in questo modo il verbo dare, “depone” la sua vita per le pecore e la “riprende di nuovo”, come si fa con una veste.
È proprio di Dio suscitare la vita, darla in abbondanza. Questo fa il pastore bello per noi, depone la sua vita sull’altare della croce e poi la riprende di nuovo nel sepolcro nuovo.
Rispetto ai tanti precetti e comandi che i capi davano al popolo per trattenerli nel loro recinto, più di seicento, Gesù ha un solo comandamento dal Padre: dare la vita per le pecore, per liberarle dal recinto e portarle in pascoli aperti di vita eterna.

Contemplando l’esempio del pastore bello possiamo chiederci se riusciamo a vivere come lui e in lui, quindi con la sua forza e il suo aiuto, nei riguardi del piccolo gregge che lui stesso, nella Chiesa, ci ha affidato.
Lo facciamo se esponiamo la nostra vita per le pecore, senza timore di perderla davanti al lupo, se disponiamo della nostra vita consegnandola, consumandola, partecipandola con loro, se deponiamo la nostra vita sulla croce che Gesù ci offre, certi che poi la ritroviamo risorta, secondo quelle parole di Gesù: “Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.” (Mt 16,25).

2 pensieri su “Il pastore bello dà la sua vita”

  1. Benjamin Umenaba dice:

    Una bellissima riflessione. Che la assista Don

    1. Don Andrea dice:

      La ringrazio di cuore. Continui a pregare per me

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