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Le forti grida di Gesù, la serenità di Agnese e le lacrime di Emerenziana



Nella messa di sant’Agnese  lo scorso 21 gennaio, avevo appena pronunciato questa preghiera: “Dio onnipotente ed eterno, che scegli le creature miti e deboli per confondere le potenze del mondo, concedi a noi, che celebriamo la nascita al cielo di sant’Agnese vergine e martire, di imitare la sua eroica costanza nella fede” che subito cominciò la prima lettura. E quel giorno capitava il brano della lettera agli Ebrei,  capitolo 5, versetti 1-10, dalla lettura continua. Non era dunque la lettura propria della Messa della santa. Ma andava proprio bene quel testo per la messa di una martire: si leggeva di Gesù davanti al supplizio della sua morte.  Erano parole conosciute, che richiamano i racconti del Getzemani e della passione di Cristo, ma impressionano sempre,  con il loro significato inequivocabile e fortissimo, che noi non avremmo mai osato dire. Ecco cosa ascoltavamo: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. Leggendo queste parole, pensavo che quello di Gesù è il supremo martirio. Ma mentre i martiri hanno testimoniato con la vita la fede in lui e l’amore per lui, in un gesto di fedeltà estrema, Gesù invece nell’andare verso il suo calvario, testimonia l’amore di Dio Padre per noi, estremo e totale, fino a dare il suo Figlio per salvarci, per perdonarci, per aprirci le porte del cielo. Con la sua morte accettata ci dice   per sempre la sua volontà di salvezza, l’amore per noi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.  Mi colpisce sempre molto la rivelazione che Gesù nei giorni della sua vita terrena ( i giorni fanno pensare a un periodo lungo, non solo la notte nell’orto degli ulivi), prega, supplica, grida e piange!

Mi tornano alla mente alcuni Salmi: se li leggiamo pensando che  sono la rivelazione della preghiera di Gesù, allora i conti tornano.  Leggo dei re e dei principi della terra che cospirano contro il Signore e il suo consacrato (salmo 2) e degli avversari numerosi che insorgono contro di lui (salmo 3), come prega nell’angoscia mentre gli uomini calpestano il suo onore (salmo 4), di nemici insinceri e perfidi (salmo 5); chiede pietà e si lamenta (salmo 6): ma sempre, il Signore lo guida, lo benedice, lo esaudisce. E con parole simili in tanti Salmi: nemici e insidie e dolori, preghiera verso Dio che alla fine libera e salva. Com’è umano il nostro Gesù! Dovremmo guardare di più a lui per cercare di capire qualcosa, del mistero del dolore, che ci accompagna. Ascoltavamo dalla lettura anche queste parole: “imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. Come uomo, ha imparato il dolore, lo ha assaggiato, come noi e più di noi. Ha sofferto l’angoscia per ciò che lo aspettava, e per ciò che soffriva. Su queste parole Benedetto XVI parlando ai sacerdoti di Roma insegnava :Questo non è solo un accenno all’ora dell’angoscia sul Monte degli Ulivi, ma è un riassunto di tutta la storia della passione, che abbraccia l’intera vita di Gesù. (18 febbraio 2010). L’intera vita: durante l’intera vita Gesù ha preso su di sé i nostri peccati, ha saputo e sofferto ciò che lo aspettava.

E Dio lo esaudì grazie al suo pieno abbandono? Noi potremmo obbiettare che Dio invece non lo ascoltò perché alla fine fu giustiziato, e non scese dalla croce, il Padre non lo salvò da quella morte terribile. Ma  è stato esaudito radicalmente con la risurrezione: adesso ha una vita nuova dalla quale non può morire più, e che è causa per noi che vi partecipiamo con il battesimo e tutti i sacramenti, di una vita nuova anche in noi, anticipo della nostra risurrezione. Ma con le forti grida e lacrime di Gesù, per contrasto, in quella messa mi tornavano alla mente i racconti del martirio di sant’Agnese e di tanti altri martiri che pur con trepidazione e consapevolezza sono andati incontro  al martirio con una straordinaria serenità. Come mai? E’ vero Gesù dopo aver pianto e sudato sangue nel Getzemani assume un’immensa solennità da sacerdote eterno, e con una sola sua parola “sono io!” fa cadere a terra tutti i soldati. Ma resta la testimonianza dell’angoscia del suo Getzemani e quelle parole della lettera agli Ebrei che risuonavano nella Messa. Penso che i due estremi possano spiegarsi così: le grida e le lacrime di Gesù hanno risparmiato a molti martiri le loro. Gesù ha voluto unirli alla sua passione ma pagando in anticipo, anche per loro, una grande quota di dolore, per rendere loro il cammino più agevole. Ha sofferto innanzitutto per loro. Quindi i martiri lungo i secoli si appoggiano sulla sua passione e Cristo diventa come un Cireneo per loro, porta la croce per loro, e li accompagna con una grazia immensa che confonde i loro carnefici, e spesso li porta alla conversione.  Gesù ha voluto provare fino in fondo ogni angoscia e dolore per risparmiarne una buona parte a noi e ai suoi fratelli e  sorelle che danno la vita per testimoniare la fede in  lui. Circondati e avvolti da una forza sovrumana. Lui invece ha voluto provare il senso di abbandono, lo schiacciamento per i peccati del mondo. Dobbiamo pensare che anche i martiri nascosti, quelli che non possono ricevere il conforto dei fratelli, che muoiono in solitudine, vengono sicuramente raggiunti da questa forza immensa della grazia di Cristo, che risparmia a loro molta parte dell’angoscia che sarebbe naturale provare. I martiri che danno la vita, anche oggi, per testimoniare la fede, l’amore per Dio, l speranza nella vita eterna, l’amore per la sua Madre Santa, per la Chiesa, per l’unità, per i sacramenti, per la castità, per la vita nascente,  sanno che lui ha dato per primo la vita per noi. E su quella forza si appoggiano. Lui ci ha amato per primo, come dice san Giovanni.  Questi pensieri suggeriva la lettera agli Ebrei al celebrante, mentre si sovrapponevano nella sua mente le grida di Gesù con i racconti letti su Agnese, sulla sua serenità e forza. Dice per esempio sant’Ambrogio: “Le fanciulle, sue coetanee, tremano anche allo sguardo severo dei genitori ed escono in pianti e urla per piccole punture, come se avessero ricevuto chissà quali ferite. Agnese invece rimane impavida fra le mani del carnefici, tinte del suo sangue.” Il ricordo di Agnese fanciulla che lo ha amato con il suo cuore di ragazza adolescente, con una dedizione totale, si impone facilmente durante la Messa in suo onore. Sapeva che Gesù a lei si era dato del tutto.  Lo aveva già ricevuto nell’Eucarestia  Aveva contemplato la sua morte in Croce. Aveva una voglia matta di  ricambiare. La persecuzione di Diocleziano imperversava. Sul processo e il modo in cui mori ci sono versioni diverse anche se autorevoli: il Papa Damaso dice che mori con il fuoco e sant’Ambrogio, per decapitazione, entrambi scrivono di lei solo alcuni decenni dopo la morte. E’ sicuro che morì il 21 gennaio. Varie tradizioni parlano della forza con cui difese il suo pudore e la sua verginità. Tutti parlano della sua giovane età. Si capisce perché subito si diffuse il suo culto in tutta la cristianità e molti volevano essere sepolti accanto a lei. Molti di più accanto a lei che non accanto alle tombe egli apostoli. Allora era diffusa la convinzione di una speciale protezione del martire se si veniva sepolti accanto alla sua tomba.  Nel celebrare la sua messa, avendo avuto la fortuna di visitare più volte la sua tomba, mi tornava il ricordo di un particolare che pochi conoscono: accanto a lei, adesso, lì sotto l’altare della basilica a lei dedicata, sul quale una volta ebbi la grazia di celebrare la Messa in suo onore,  fin dal secolo IX, è sepolta anche Emerenziana, anzi sant’Emerenziana  secondo la tradizione era sua sorella di latte. Sua amica del cuore diremmo oggi. Della stessa età. Narra la tradizione che fu vista piangere sulla tomba di Agnese dai persecutori dei cristiani, e lapidata sul posto. Così se Agnese è martire della fede in Cristo, dell’amore totale per lui, della castità semplice, lei l’amica è martire dell’amicizia, che testimoniò con le lacrime. Non seppe trattenersi dall’andarla a visitare sul suo sepolcro, perché  le mancava troppo, e piangerla. Così fu identificata come cristiana e uccisa subito. Per questo quando celebro la festa di sant’Agnese non posso non ricordarmi anche di Emerenziana, la cui memoria cade il 23 gennaio, due giorni dopo, a ricordo del suo martirio così vicino a quello dell’amica. E chiedo a entrambe che ci aiutino a vivere l’amicizia così, fino a dare la vita. Non è forse quello che ci chiedeva Gesù?  “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Agnese ed Emerenziana lo avevano ascoltato.


2 pensieri su “Le forti grida di Gesù, la serenità di Agnese e le lacrime di Emerenziana”

  1. Teresa dice:

    La prima lettura di oggi,che parla di Gesù che “ davanti alla gioia che gli era posta davanti , si sottopose alla croce etc..” richiama proprio questo commento:” Gesù nei giorni della sua vita terrena ( i giorni fanno pensare a un periodo lungo, non solo la notte nell'orto degli ulivi), prega, supplica, grida e piange!”
    E’ in effetti una riflessione che incoraggia molto, soprattutto perché ci rivela un Dio vicino, che ha voluto condividere la sofferenze della vita umana. Il cristianesimo non ha inventato la croce, come molti purtroppo pensano,ma il coraggio di portarla, sapendo che non siamo soli nella sofferenza. Lo dice in modo molto semplice, questo racconto .
    “Una donna si recò a trovare un uomo saggio, al quale tutti si rivolgevano per trovare consiglio. Ma quello le raccontò che aveva gravi problemi con il figlio e che la gente lo avrebbe giudicato malissimo, appena lo avesse saputo.
    Allora quella gli domandò:” Tutti ti chiedono consiglio, e tu hai sempre qualche buon consiglio da dare.Ma tu, quando hai un grave problema, a chi ti rivolgi?”
    “ A Dio” rispose l’uomo
    “ E Lui cosa ti dice?”
    “ Ti lamenti per tuo figlio? Guarda un po’ il Mio!”

  2. Giulia dice:

    Da questa esposizione capisco come mai nelle prove si ha più forza di sopportazione che nelle circostanze abituali, dove non sembra necessaria né fede né passione.
    Ed è una scoperta vedere che nella vita di fede non c'è il pericolo di essere troppo umani perché Gesù si serve anche di quello per salvare ognuno e tutti.
    Grazie perché rileggere ogni tanto il suo scritto mi fa scoprire il senso di una vita piena.

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