Intervista al quotidiano ABC di Madrid, del 16 febbraio 2013, di Juan Vicente Boo, corrispondente da Roma. Il cardinale Julián Herranz (1930) medico, giurista, sacerdote, montanaro, poeta è figura brillante in molti campi, dal tratto affabile e con il dono della semplicità. Specializzato in psichiatria aveva il progetto di proseguire gli studi in Germania per poter poi seguire la carriera universitaria in Spagna. Il suo attivismo politico durante gli studi lo portò a trascorrere una notte in carcere e a subire interrogatori nei locali dell’antica Direzione Generale di Sicurezza della Puerta del Sol di Madrid. Gli piaceva anche il giornalismo e, cercando informazioni sull’Opus Dei, scoprì la spiritualità di San Josemaría Escrivá e si impegnò a seguirla nel laicato. Fu un incontro che cambiò la sua vita. Successivamente ricevette la vocazione sacerdotale, e nacque in lui una profonda passione per il Diritto Canonico. Iniziò a lavorare al servizio di Giovanni XXIII nel 1960, nell’organismo che si occupava della preparazione del Concilio Vaticano II. Da allora ha lavorato in vaticano al servizio di cinque Papi.. Il suo ultimo servizio a Benedetto XVI è stato presiedere la commissione cardinalizia di inchiesta per il “Vatileaks”. Ritiene che la rinuncia del Papa sia un gesto proprio dell’anima di un santo. Conosce Joseph Ratzinger da 32 anni.
– Eminenza, lei l’11 febbraio scorso si trovava nella riunione dei cardinali durante la quale Benedetto XVI ha comunicato in maniera inaspettata la propria rinuncia. Che cosa ha provato?
– In primo luogo ho reagito da giurista e poi da cardinale. Come canonista sono rimasto sorpreso dalla precisione giuridica con la quale Benedetto XVI agiva e soprattutto da un gesto che non ha nessun precedente nella storia della Chiesa.
– Ma Celestino V nel 1294…
– Non lo si può paragonare alla rinuncia di Celestino V avvenuta sette secoli fa, perché sono persone e situazioni molto differenti. Ho avuto la percezione di essere stato testimone di un fatto unico in duemila anni di storia della Chiesa, perfettamente meditato in tutte le sue dimensioni, sia teologiche che giuridiche.
– E cosa ha pensato come cardinale?
– Come cardinale, come sacerdote e come fedele, ho avuto un moto di tristezza, perché ci lascia una persona con la quale ho lavorato tanti anni e che ammiro profondamente. Allo stesso tempo, ho provato una sensazione come di gioia interiore, di ritrovarmi di fronte a un fatto che rivela una grande santità.
– Per quale motivo?
– Perché è stato un gesto di eroica umiltà e amore per la Chiesa, e quindi per Cristo.
Un gesto che si confà perfettamente all’anima di un santo. E’ un genere di umiltà che oggi non siamo abituati a vedere, in special modo nella vita civile, dove tante persone sono attaccate alla poltrona, al posto di comando…
– Con quale prospettiva i comuni fedeli dovrebbero guardare a questa rinuncia?
– Dal punto di vista spirituale, dovrebbero considerare l’esempio di profonda umiltà di un uomo che ama al di sopra di tutto Cristo e la sua Chiesa. E dal punto di vista umano possono considerarla come una decisione molto ragionevole. Fino a un secolo fa sarebbe stato inconcepibile. Adesso no, perché l’aspettativa di vita è cresciuta molto senza che – e questo lo dico da medico – si riescano a conservare in ugual misura la capacità organica e biologica delle persone.
– Alcuni fedeli obiettano che si possa perdere un po’ il senso di sacralità del Papato.
– Sono convinto che non è così. Il Papa è il vicario di Cristo, che è perfetto Dio, ma anche perfetto uomo: che piange per una vedova alla quale è morto il figlio, e piange per la morte di un amico. Questa perfetta umanità si riflette nell’umanità del suo vicario.
– Altri si preoccupano pensando che Benedetto XVI abbia agito in modo contrario a Giovanni Paolo II, che preferì non rinunciare.
– Vedo la differenza, ma non l’opposizione fra l’agire dei due Papi. In coscienza, davanti a Dio, Giovanni Paolo II considerò che doveva continuare. E in coscienza, pure davanti a Dio, Benedetto XVI ha pensato che, per amore alla Chiesa, doveva fare questo gesto altrettanto eroico e altrettanto santo. Sono due modi diversi di comportamento eroico in momenti diversi della storia della Chiesa. E personalmente ritengo che ciò che ha fatto Benedetto XVI non sia per nulla uno scendere dalla Croce.
– Sarebbe meglio stabilire la rinuncia dei Papi al compimento degli 80 anni, l’età in cui i cardinali della Santa Sede lasciano i loro incarichi?
– Non credo che si debba fissare un limite di età ai Papi. Si tratta di una elezione “ad vitam”, “per tutta la vita”. Ma non bisogna nemmeno trasformarla in una condanna a portare questo peso “per tutta la vita”.
– Dopo il 1° marzo cominceranno le “riunioni generali” dei cardinali di tutto il mondo. Come lavoreranno?
– Nella prima parte delle “congregazioni generali”, alle quali partecipano tutti i cardinali, anche quelli di più di 80 anni, si inizia con l’affrontare questioni di tipo pratico e logistico. Dopo si procede con l’esame della situazione della Chiesa nel mondo. Si ricevono studi sulla situazione in ogni continente, e anche informazioni su determinati argomenti, questioni positive e negative nel panorama dell’evangelizzazione nel mondo. Quindi si discutono possibili soluzioni a un problema o ad un altro… In questo modo, nel definire i compiti che toccheranno al futuro Papa, i cardinali vengono aiutati a pensare come dovrebbe essere l’”identikit”, il ritratto della persona più idonea per affrontare queste questioni.
– Ha fiducia che il Conclave scelga bene?
– Fortunatamente lo Spirito Santo assiste i cardinali nel conclave, e questo si nota. Gli ultimi sei Papi sono state persone di straordinarie doti, sia umane che soprannaturali. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono già sugli altari come beati. E sono in corso i processi di canonizzazione di Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo I. E anche se glielo dico sotto voce e in privato, che in cuor mio ho già canonizzato Benedetto XVI nel mio cuore, lo scriva pure.
Traduzione dall spagnolo di Andrea Mardegan