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I CRISTIANI COSTRUTTORI DI PONTI, SENZA PAURA. Omelia di Papa Francesco dell’8 maggio 2013

8 maggio 2013 al mattino.  Messa nella cappella della casa Santa Marta di Papa Francesco. La prima lettura è il discorso di Paolo nell’Areòpago di Atene. Il Papa lo prende a esempio di come devono fare i cristiani di oggi. Costruisce ponti e non condanna. In effetti è impressionante notare nel brano degli Atti degli Apostoli, come Paolo valorizzi gli Ateniesi, infatti dice loro: “vedo che in tutto siete molto religiosi”, e nel rivolgersi aa loro per parlare di Dio che si è rivelato pienamente in Gesù Cristo, parte da un altare da loro innalzato al Dio ignoto. Cita un loro poeta per facilitare loro la conversione, attraverso un idea presente nella loro stessa cultura. E’ anche bello e consolante vedere che più di uno, anzi un buon gruppo si converte, lo segue. A prima vista sembrerebbe il discorso dell’Areòpago un insuccesso, e invece appare, alla lettera, come la riprova della verità della parabola del seminatore: una parte dei semi cade sulla roccia, o dove c’é poca terra e quindi viene mangiata dagli uccelli del cielo, ma un’altra parte cade sulla terra buona e dà frutto dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento. Le parti che crescono subito ma poi si seccano all’arrivo delle persecuzioni, non possono essere viste al momento della prima predicazione, ma solo con lo scorrere del tempo. Le parole dell’omelia del Papa che trascrivo, le ho tratte dal servizio di  radio Vaticana e dall’articolo dell’Osservatore Romano del 9 maggio. Possono esserci alcune lacune o qualche imprecisione, sappiamo infatti che non viene ancora pubblicato il testo ufficiale, tuttavia la ricostruzione dell’insieme delle parole citate tra virgolette dai giornalisti, omettendo i commenti, aiuta ad ascoltare il pensiero del Papa per meditarlo con profondità.
In quei giorni quelli che accompagnavano Paolo lo condussero fino ad Atene e ripartirono con l’ordine, per Sila e Timòteo, di raggiungerlo al più presto. Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse:
«Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e
osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio.

Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”. Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agliuomini che tutti e dappertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».

Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano,
altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». Così Paolo si allontanò da loro. Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro. Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. (Atti 17,15.22-18,1)
I cristiani di oggi siano come Paolo che, parlando ai greci nell’Areopago, costruì ponti per annunziare il Vangelo senza condannare nessuno. Lui non dice : “Idolatri, andrete all’inferno! Ma cerca di arrivare al loro cuore. Si avvicina di più al cuore di chi ascolta, cerca il dialogo.  Paolo è un pontefice, costruttore di ponti. Lui non vuole diventare un costruttore di muri.  Questo è l’atteggiamento di Paolo ad Atene: fare un ponte al cuore loro  per poi fare un passo in più e annunziare Gesù Cristo. Paolo è coraggioso e questo ci fa pensare sull’atteggiamento di un cristiano. Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato. E Paolo sa che lui deve seminare questo messaggio evangelico. Lui sa che l’annunzio di Gesù Cristo non è facile, ma che non dipende da lui: lui deve fare tutto il possibile, ma l’annunzio di Gesù Cristo, l’annunzio della verità, dipende dallo Spirito Santo. Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: ‘Quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità’. Paolo non dice agli ateniesi: ‘Questa è l’enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità, la verità!’. No! La verità non entra in una enciclopedia. La verità è un incontro; è un incontro con la Somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità. La verità si riceve nell’incontro. E non si può strumentalizzare neppure per difenderci. L’apostolo Pietro ci dice: “Voi dovete dar conto della vostra speranza”. Sì, ma una cosa è dar conto della propria speranza, e altra cosa è dire: “Noi abbiamo la verità, questa è! Se voi non la accettate andate via”. Ma perché Paolo ha agito così? Innanzitutto perché questo è il modo di Gesù che ha parlato con tutti, ha sentito la samaritana, il dialogo con la samaritana, andava a pranzo con i farisei,  con i peccatori, con i pubblicani, con i dottori della legge. Gesù ha sentito tutti e quando ha detto una parola di condanna è stato alla fine, quando non c’era niente da fare. Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve andare per questa strada: sentire tutti! Ma adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo, perché io ricordo quando bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!’. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso – grazie a Dio – no, non si dice quello, no? Non si dice quello no? Non si dice! C’era come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti. Primo: Paolo ha questo atteggiamento, perché è stato l’atteggiamento di Gesù. Secondo: Paolo è consapevole che lui deve evangelizzare, non fare proseliti. La Chiesa non cresce nel proselitismo. Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione. E paolo agisce così perché  era sicuro, sicuro di Gesù Cristo. Non dubitava del suo Signore. I cristiani che hanno paura di fare ponti e preferiscono costruire muri sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo. E si difendono.  I cristiani invece facciano come Paolo e inizino a costruire ponti e ad andare avanti. Paolo ci insegna questo cammino di evangelizzare, perché lo ha fatto Gesù, perché è ben consapevole che l’evangelizzazione non è fare proselitismo: è perché è sicuro di Gesù Cristo e non ha bisogno di giustificarsi e di cercare ragioni per giustificarsi. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico diventa una Chiesa ferma, una Chiesa ordinata, bella, tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole… tante cose. Chiediamo oggi a San Paolo che ci dia questo coraggio apostolico, questo fervore spirituale, di essere sicuri. ‘Ma, Padre, noi possiamo sbagliarci’…. ‘Avanti, se ti sbagli, ti alzi e avanti: quello è il cammino’. Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave. Così sia”.

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