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SI, SIGNORE ECCOMI TUO PRETE PER IL BENE DELLA CHIESA. Omelia di don Pietro Pasqualotto nella sua prima Messa

Duomo di Legnago

Conobbi don Pietro a Verona, quando ero cappellano del Collegio Pontenavi. Allora era impegnato nel suo lavoro professionale. Più tardi lo ritrovai felice seminarista in alcuni degli incontri estivi per seminaristi organizzati da Iniziative Culturali Sacerdotali. E’ valsa la pena fare un viaggio da Milano a Legnago per concelebrare nella sua prima Messa. ho rivisto amici sacerdoti e seminaristi. Ho respirato il  clima di una comunità viva e piena di allegria, di gioia soprannaturale, per il dono di una vocazione sacerdotale in mezzo a loro, arrivata forse quando più non se l’aspettavano: oggi ha quarantacinque anni. Il parroco ha citato Papa Francesco e le sue ormai celebri parole del giovedì santo ai sacerdoti:  “questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -… pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti“. Poi è cominciata la messa dell’Ascensione del Signore. Abbiamo letto il racconto degli Atti degli apostoli, e da lì Pietro a preso le mosse per la sua prima omelia, scritta di getto, che riporto. Fate attenzione alla seconda parte, la sua preghiera per il ministero sacerdotale che comincia. Era il 12 maggio 2013.

«Fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi… Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1, 9. 11).
Non deve essere stato facile per gli apostoli adattarsi alla dipartita, definitiva, di Gesù. Già avevano sperimentato cosa volesse dire ri­manere delusi perché il loro amico era finito sulla croce e una pie­tra era stata rotolata davanti al sepolcro.
Cosa pensare? Che ormai tutto era finito!

E pensare che in lui avevano riposto tante speranze. «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Lc 24, 21).
Poi, quelle voci che hanno cominciato a diffondersi per mezzo delle donne accorse al sepolcro di buon mattino e loro stessi che andan­do a quella tomba l’avevano trovata vuota.
Cosa stava succedendo? A qualcuno saranno sicuramente tornate alla memoria quelle parole incomprensibili: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9, 22). 
Poveri uomini!! Fa tenerezza pensare che dentro di loro ci sia un misto di rabbia, delusione ma anche di debole speranza. Lo straor­dinario Pietro, con la sua irruenza e anche la sua ingenuità, lo im­magino con gli occhi che sembrano guardare nel vuoto, ma in real­tà sfidano e oltrepassano le porte chiuse di quel luogo dove erano riuniti per timore e non è convinto che tutto sia finito nel nulla. No, il maestro non può averli abbandonati.
Ed ecco che la sera di quello stesso giorno «Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sor­gono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono pro­prio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come ve­dete che io ho» (Lc 24, 36-39).
Eh già, Lui non è un fantasma, non è un ricordo.
Cristo è il vivente, il nostro Redentore e noi di questo dobbiamo gioire.
La fede è gioia!
La fede è speranza!
Questo è il senso della solennità che celebriamo oggi: un Dio che si innalza, che si sottrae al nostro sguardo ma che non si allontana. È il Dio con noi. Per sempre. Nonostante tutto e tutti.
Come non essere felici! Come non esprimere la nostra lode!
La fede è certezza che Lui è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cf Mt 28, 20). Ecco perché la gioia ha preso il posto della delusione. Quegli apostoli, dopo averlo guardato salire in cielo se ne tornano a Gerusalemme contenti di lodare Dio nel tempio (cfr Lc 24, 53).
In loro c’è gioia per l’avventura stupenda della Chiesa che inizia, anche se non se sono consapevoli.
Nel cenacolo, pieni di timore, mentre attendono la venuta dello Spirito Santo, quei dodici sono la Chiesa.
Con la forza del Paraclito, che fa dire all’apostolo Pietro: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni»(At 2, 32) quei dodici, ritenuti ubriachi (cf At 2, 13), sono la Chiesa.
Noi, qui riuniti attorno all’altare, siamo la Chiesa.
Noi siamo i testimoni!
Noi, che non veniamo più chiamati servi ma amici, perché tutto ciò che Egli ha udito dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cf Gv 15, 15). Nel suo esordio, l’evangelista Luca, lo abbiamo sentito proclamare nella prima lettura, si rivolge a Teofilo. Chi è costui!?
L’amico di Dio, ossia ognuno di noi, ai quali è data la grazia di fare esperienza di quel «Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10, 38).
Voi siete testimoni! Io sono testimone! Con la mia storia, la mia vocazione, che mi ha fatto giungere fino a questo giorno.
Si, Signore, eccomi tuo prete per il bene della Chiesa.
Non per me ma, come dice S. Agostino, per pascere il gregge. Quale responsabilità affidi a queste povere spalle, quale peso a questo debole cuore.
Grazie per la tua fiducia.
Oggi sono qui non solo per esercitare un ministero liturgico ma per testimoniare che se sono prete è perché tu hai bisogno di incontrare gli uomini e ti servi anche di me che per primo sono stato incontrato da te. Questo nostro mondo, questo uomo del XXI’ secolo che sembra tanto forte ed autonomo ma al contempo è debole e bisognoso di tutto, ha primariamente fame e sete di te perché tu sei il senso e la ragione della vita.
Aiutami ad incontrarti ogni giorno nella tua Parola, nell’Eucaristia, nella preghiera per farti incontrare gli uomini, per rivolgere loro una parola, per usare misericordia, per asciugare una lacrima, per condividere una gioia, per partecipare di un silenzio che a volte è più efficace di mille parole.
Usa le mie mani, la mia voce, i miei piedi, la mia mente, il mio cuore, perché non mi appartengono ma ti appartengono per sempre, e rivelati in tutta la tua potenza e bontà.
Verranno, lo so che verranno, anche i giorni dello sconforto, della delusione, della paura, dell’apatia, dell’aridità spirituale. Sorgerà allora sulle labbra il grido del salmo:
«Perché, Signore, stai lontano, nel tempo dell’angoscia ti nascondi?» (Salmo 9B) «Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?Fino a quando nell’anima mia proverò affanni, tristezza nel cuore ogni momento?» (Salmo 12)
Donami grazia di ricorrere comunque a te, perché come tante volte ho sperimentato ancora sperimenterò:
«Nell’angoscia ho gridato al Signore, mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo.» (Salmo 117) «Nel mio affanno invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce,al suo orecchio pervenne il mio grido.» (Salmo 17)
Chiamato a donare il tuo perdono, fammi ricorrere con frequenza alla fonte della riconciliazione. Che io ami sempre la tua Chiesa e sappia servirla anche attraverso l’opera di discernimento se sul mio cammino incontrerò persone su cui si è posato il tuo sguardo di preferenziale amore. Signore, oggi con il cuore che trabocca di gioia desidero elevare a te la mia lode e il mio ringraziamento, non da solo, ma con questa cara comunità di Legnago, con quanti condividono con me questo momento di grazia, soprattutto con chi vive il dolore, la fatica, il buio.
Maria, madre Immacolata, San Giuseppe, padre e signore mio, angelo mio custode intercedete per me. Amen
La celebrazione è proseguita intensa e raccolta, canti ben preparati di due cori, scambio della pace. Eucaristia. Poi il ringraziamento eucaristico, sulle note di un canto con parole del curato d’Ars. Il momento dei ringraziamenti. Il vescovo, il seminario, i parroci, gli amici preti. La mamma, dal cielo. il papà, la sorella Elena con il marito Sergio, le cinque nipotine. I colleghi del lavoro, che ha lasciato e che gli piaceva. Due mazzi di fiori, per la festa della mamma: uno per la Madonna: loportano le nipotine; l’altro per la sorella Elena, visto che la mamma osserva dal cielo. A quel punto il parroco ha invitato don Giuseppe, il suo predecessore, che aveva conosciuto Pietro anche da giovane, a Saguinetto, a dire qualche parola. Dice che la vocazione di Pietro gli ricorda che è Dio che fa la Chiesa! E al termine del suo discorso, che sembrava improvvisato, estrae un foglietto, dice a Pietro che gli faranno piacere, a lui che segue lo spirito di san Josemarìa Escrivà, alcune parole di quel santo sacerdote, e legge: “Devi essere, come figlio di Dio e con la sua grazia, uomo di desideri e di opere. – Non siamo piante di serra. Viviamo n mezzo al mondo, e dobbiamo stare esposti a tutti i venti, al caldo e al freddo, alla pioggia e ai cicloni…ma fedeli a Dio e alla sua Chiesa.” Benedizione finale del prete novello. Saluto di tutti i presenti. Riso alla pilota per tutti nei locali parrocchiali e festa. Molte risate.Ringrazio Dio per la sua Chiesa e il dono del sacerdozio, per la sua vocazione che arriva quando e come vuole lui. Guidava la cerimonia Mattia, che volle fortemente entrare in seminario a undici anni, e insistette coni suoi genitori: l’anno prossimo sarà diacono. Quando, come e chi vuole Dio.

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