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DIO HA DONATO TE A TE STESSO. Suggerimenti di don Valentino Guglielmi per varie conversioni interiori

Don Valentino: Messa a San Pietro di Lavagno
Quando ci trovavamo ogni martedì mattina con un gruppo di preti amici, in amabile compagnia e aiuto fraterno, don Valentino ci sorprendeva sempre con i suoi pensieri profondi, anche con le sue battute divertentissime, e noi gli dicevamo, ben consapevoli della “unicità” del suo contributo di pensiero sacerdotale, sapienziale: scrivi, Valentino, queste cose. Pubblica! Lui faceva spallucce o rispondeva con battute. Poi lungo gli anni qualcosa faceva, per lo meno scriveva a penna su piccole schede, nascostamente, giorno dopo giorno, il frutto della sua contemplazione ed esperienza. Qualche anima buona la trovò poi sulla sua strada, che lo convinse, più efficace di noi, a lasciare che si pubblicassero pro manuscripto alcuni di questi pensieri. Siamo grati a quel lavoro prezioso. Altri scritti verranno alla luce più avanti, tra migliaia di schede, che ha lasciato. Quindi io dovrei sapere, eppure mi soprassale ogni volta la profondità e la trascendenza del suo pensiero, che sono contento di far conoscere.
NON GIUDICARE
05. 09. 23
Se ho in mente un’idea di donna e la signora che vedo non collima con la mia idea mi nasce la domanda: è sbagliata la signora oppure è inadeguata la mia idea? Darò la preferenza alla realtà o mi affiderò alla sua rappresentazione? Giudico o mi lascio giudicare?
La posta in gioco può sembrare banale, però è facile accorgersi che molto della cultura dominante scaturisce da una risposta alla domanda in questione. Se infatti preferisco la mia idea sono portato ad uno stato d’animo di scontentezza, sono pronto a giudicare e ad esprimere i miei giudizi in mormorazioni e a scivolare con facilità in calunnie. Non essendo sicuro del mio giudizio andrò a cercare complici che me lo sostengano in cambio di analogo servizio.
Non giudicare non vuol dire non vedere gli aspetti negativi della persona, ma andare alla ricerca di quanto trascende gli aspetti negativi e positivi. Quello che va oltre è l’appartenenza della persona a  se stessa per nascita. Vuol dire che al vertice della consapevolezza – chiara o solo embrionale – che la persona ha di sé è unica e sola e non può essere accatastata in una categoria.
L’impresa, a cui metto mano per imparare a distinguere le persone, mi domanda di cambiare il mio modo di pensare. Non si tratta solo di acquisire i criteri di una nuova scienza, ma di modificare l’opinione che ho di me stesso. E’ un’operazione molto elementare e però non facile: devo capire che io non sono Dio.
Quando comincio ad imparare – a vedere – l’unicità del mio interlocutore lo posso sorprendere, perché vedo prima di lui quello che egli desidera sopra ogni cosa: che io gli riconosca la sua unicità, ma non sa se ha diritto di desiderarlo o se può desiderarlo. L’amore, l’amicizia o anche il tratto più occasionale si nutrono di questo rispetto.
Dio ha donato te a te stesso. Questa donazione fonda il tuo diritto all’auto possesso, ti costituisce persona, ma non hai grande sicurezza nell’esercitare il tuo diritto. Se io te lo riconosco e ti tratto in modo conseguente ti offro quanto di meglio tu possa desiderare quando non sai se puoi far fiorire la tua unicità o se devi abbandonare l’idea asservendoti al giudizio degli altri.

Sembra che questa sia una via capace di portare verso Dio con una sicurezza di tipo sperimentale. 

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