Sposalizio della Vergine, Raffaello |
Duomo di Milano 5 dicembre 2012. Novena per l’Immacolata
Già ieri, nel passo del Vangelo che abbiamo letto, Gesù parlava della necessità assoluta, per una fede sincera e vera, di onorare Dio con il cuore e non solo con le labbra. Oggi Gesù stesso rincara la dose. Non basta che la lode a Dio venga dal cuore. Occorre che il cuore sia puro. Il Signore richiama con forza i farisei a non concentrarsi sul tema della impurità legale, ma a rendersi conto che “ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l’uomo. Dal cuore infatti provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie…”[1].
Di fronte a questo panorama desolante, brilla la luce della vita della Madonna. La invochiamo come Madre Purissima perché, come dice il Beato Schuster, “il suo cuore non ebbe altro palpito che per Dio, senza alcuna divisione di affetti”[2].
La luce della vita di Maria Santissima ha tanti raggi quante sono le sue virtù. La fede della Madonna si rifrange in tutta la sua persona.
Sant’Ambrogio, il nostro grande Patrono, scriveva a proposito:
“La verginità ci sia dunque proposta, come in effigie, nella vita di Maria, dalla quale, come in uno specchio, risplende la bellezza della sua castità e la sua esemplare virtù”[3]. Desidero quindi, ispirato dalle parole del grande Vescovo milanese, soffermarmi sulla verginità della Madonna, come esempio per noi, e quindi sulla virtù della santa purezza.
Può sembrare strano o addirittura demodé parlare di questo oggi giorno. Ha ancora senso proporre la virtù della santa purezza nel XXI secolo? Si può oggi, dopo la c.d. rivoluzione del 1968, parlare a giovani e meno giovani della bellezza della castità? Non si rischia di fare un discorso, perdonatemi il termine, da bacchettoni?
A queste domande vorrei opporre due ragioni che giustificano la nostra riflessione alla presenza di Dio.
La seconda ragione è, su un piano molto inferiore, la mia personale esperienza pastorale. Nessuna persona, specialmente giovane, è indifferente al tema dell’amore. E non conosco nessuno che, almeno, non abbia ascoltato con interesse (e a volte con profondo rammarico per la distanza dal proprio comportamento) la bellezza dell’insegnamento cristiano sulla santa purezza, sulla castità che, diciamolo subito, non è virtù da menomati o da vecchi, è la virtù che mantiene integra, piena, forte, ricca, giovane! la nostra capacità di amare.
Quindi si può e si deve parlare di purezza anche oggi. A tutti, giovani e meno giovani. Ho avuto modo di parlare di questo tema qualche mese fa con Sua Eminenza il card. Scola, il quale mi esortava a continuare in questa catechesi, con tono positivo e bello, usando i tanti argomenti convincenti, come per esempio la realizzazione di ogni persona nel dono di sé.
Vogliamo combattere con il nostro esempio il fenomeno vergognoso di una sorta di sottile compiacenza; il sorrisino ironico e ammiccante che accomoda tutto, e che finisce con il cercare così la propria giustificazione.
Oggi il cristiano deve essere ribelle. Sì, proprio così: ribelle. Mi ribello al vergognoso italico maschilismo che letteralmente usa il corpo della donna per vendere auto o altri oggetti di consumo. Mi ribello di fronte alla mercificazione della pornografia. Mi ribello di fronte a questo clima di diffusa sensualità che spaccia tutto per normale con una specie di assoluzione generale, perché è contrario alla dignità dell’uomo e della donna.
Il mondo è assetato di bellezza. E mi rivolgo a voi donne, specialmente giovani: siete voi a rendere più bello il mondo! Fatelo davvero, con la vostra bellezza profonda, ricca, personalizzante. Con quella forma di bellezza che da sempre ha incantato artisti e poeti e che trova nella Santissima Vergine il suo modello più compiuto. La bellezza femminile viene spesso – a ragione – descritta con una semplice parola: la “grazia femminile”, sottolineando così tutta la ricchezza di umanizzazione che la femminilità porta con sé. E noi uomini, tutti!, abbiamo bisogno di questa ricchezza umanizzante; la vera bellezza parte dal cuore, è nel cuore, è DEL cuore. Tu giovane liceale, universitaria, giovane professionista, donna già matura, sei portatrice di una ricchezza straordinaria. Vali molto agli occhi di Dio. Riempi il cuore di chi ti circonda della tua bellezza. Non credere a chi propina come prototipo di donna di successo quello della modella seduttrice. Tu lo sai, il tuo cuore te lo dice, nonostante tutti i forti condizionamenti ai quali sei sottoposta, che c’è una bellezza molto più profonda e ricca che non puoi sperperare. Non sei sola; sei fatta per un amore eterno.
E tu, ragazzo giovane, universitario, professionista: guarda al futuro. Pensa a costruire un amore che dura tutta la vita, un amore per sempre. Che anche oggi ESISTE, può esistere. Basta con il cinismo di chi si accontenta di sperimentazioni affettive. Impara fin da giovane a non banalizzare la sessualità. Impara il rispetto, che farà sprigionare dal tuo cuore energie che neppure immagini. Nei rapporti affettivi la morte è la prova. La morte è il volere tutto subito e restare poi a bocca asciutta, con una cocente delusione.
Oggi c’è, sotto la scorza di una apparente spacconeria, una forte insicurezza. E allora ci si fa scudo della incertezza del futuro per rinviare sempre di più il momento in cui finalmente si oserà prendere una decisione definitiva, se ancora questa parola esiste. Il nostro Arcivescovo ha descritto così queste difficoltà per la nostra fede: “La tentazione della rassegnazione a un modello di convivenza esile, precario, sospeso all’emozione passionale e alla provvisorietà dei sentimenti, l’afasia che non sa esprimere la bellezza di un amore casto, di un fidanzamento serio, di un matrimonio cristiano, mette alla prova la fede”[4]. E poco oltre, a proposito dei giovani: “La diffidenza verso la definitività, temuta come legame che limita le esperienze e umilia il desiderio, che induce a vivere di esperimenti…”[5]. L’amore personale, l’amore di una vita non è oggetto di prova. E non ha senso la prova della convivenza prima del matrimonio: se manca la definitività e manca la fecondità… non è prova, è una cosa diversa, che nasconde l’insicurezza, la paura che le cose vadano male, se non, almeno in qualche caso, la comodità. E se ci si vuol bene davvero, ciò che serve per costruire un futuro stabile è proprio la castità: non bisogna fare prove, bisogna mettersi alla prova, bisogna imparare a saper dire di no adesso per il sì più grande della vita, che è garanzia di fedeltà. Non è il divieto che comanda: è l’amore. Ma l’amore che si conquista, non quello a buon mercato che si svuota in un attimo e si scioglie come una medusa al sole.
Mi sono rivolto ai giovani, ma rivolgo allo stesso modo agli adulti. Che esempio diamo in questo campo alle persone giovani? Troppe volte sento lamentele sui giovani e sempre mi innervosisco: la colpa non è loro! Chiediamoci: che programmi TV si abituano a vedere i figli fin da bambini? Che linguaggio, che tono? Niente ossessioni, ma delicatezza, sì. E voi genitori, specialmente di figli adolescenti, non pensate che la pressione dell’ambiente sia troppo forte: l’ambiente più importante per i vostri figli siete voi! Senza toni moraleggianti, ma con affetto e delicatezza, date luce ai vostri figli, che così cresceranno sani e normali. L’esempio di un amore fedele tra i genitori, costruito giorno per giorno è la luce di cui i giovani hanno bisogno!
Quanti matrimoni saltano per la incapacità, quasi fisica, di rinunciare al proprio gusto, o di uscire da sé. È ovvio che le difficoltà oggi sono tante e che non spetta a nessuno di noi giudicare le singole persone, che vanno sempre aiutate e sostenute e accompagnate. Ma non serve fingere che in fondo “è lo stesso”.
Discorsi impegnativi, certo. Ma, ci penso spesso, è la verità che salva, non la finzione. È la Verità che guarisce il nostro cuore. E la verità intrinseca contenuta nel grande dono della sessualità umana è l’orientamento al dono pieno della persona alla persona. Il Concilio Vaticano II lo dice con chiarezza: “L’uomo non si ritrova pienamente se non attraverso il dono sincero di sé”[6].
Dono totale di tutta la persona, che si esprime nel matrimonio o nel celibato per il regno dei Cieli.
E, si badi, non dono “di qualcosa”, ma dono di sé, di tutta la persona, con tutto il proprio futuro, con la corporeità maschile o femminile che porta con sé la potenziale fecondità, e che è una ricchezza straordinaria: e questo, da sempre, si chiama Matrimonio: l’unico modo di donare il proprio futuro intero è la promessa solenne davanti a Dio e agli uomini e non il semplice sentimento, come pensano molti. Tutti abbiamo desiderio di fecondità, di continuità, di dare alla luce e di trasmettere il patrimonio culturale e di fede a generazioni future. E tutti siamo chiamati a vivere questa fecondità nella nostra vita. Anche chi è chiamato al celibato per il regno dei Cieli, con una paternità o maternità spirituale che riempie il cuore, davvero.
Purezza e fecondità, dunque, anche nella vita matrimoniale. In ogni famiglia sono i coniugi i responsabili nel determinare il numero di figli; nessuno vuole o può sostituirsi a loro, neppure la Chiesa. Non possiamo approfondire ora la bellezza di tutto questo; ci limitiamo a dire che le famiglie numerose sono un meraviglioso dono di Dio, e non sono degli extraterrestri! C’è la crisi economica, con tutta la sua serietà che non può essere sottovalutata, ma c’è soprattutto mancanza di speranza. Guardiamo avanti con gioia! Anche se dobbiamo affrontare qualche sacrificio in più. Scrive lapidariamente san Josemaria: “Quel che occorre per raggiungere la felicità non è una vita comoda, ma un cuore innamorato”[7].
Discorsi impegnativi e chiari, che appaiono del tutto estranei alla mentalità comune. Ma non pensiamo che il cuore delle persone sia impenetrabile.
Mi raccontavano qualche tempo fa di una scena accaduta nella clinica dell’Università di Navarra, in cui la formazione cristiana è affidata all’Opus Dei. Giunge al reparto solventi della clinica una coppia (lui circa cinquantenne, lei più giovane), per un piccolo intervento di lui. L’inserviente che li accoglie, dopo le registrazioni abituali, li accompagna nella stanza, dove i clienti notano subito un crocifisso. Storcendo un po’ il naso e farfugliando qualcosa tra loro, con un certo fastidio, chiedono all’impiegato di toglierlo. Ma costui, con molto garbo dice che si rende conto che possono avere opinioni diverse, ma la identità cristiana di quel luogo non si può cambiare a seconda di chi viene; evidentemente resta ferma la libertà di rivolgersi altrove, ma una richiesta simile non ha senso. “Eso no se quita”, conclude (“quello non si toglie”). “Pensateci pure un po’, con calma; ritorno tra dieci minuti.” Detto fatto; dieci minuti più tardi l’impiegato ritorna. L’uomo lo abborda rapidamente e gli dice: “Allora va bene il crocifisso; restiamo; anzi, resto; lei no, se ne va: non è mia moglie, è la segretaria”.
Parliamo così con chiarezza; sempre con affetto, senza giudicare nessuno, con cuore grande. E tante persone che apparentemente potrebbero addirittura canzonarci, capiranno. E il mondo cambierà intorno a noi.
Ci sentiamo deboli? È normale: lo siamo. Bisogna innanzi tutto invocare la Madonna, perché lei, Mater pulchrae dilectionis, Madre del bell’amore, vegli su di noi, ci sostenga con la sua intercessione e imparare a lottare poco a poco. Preghiera, mortificazione, custodia dei sensi e del cuore. Con chiarezza di coscienza, con il ricorso alla confessione frequente e tutte le volte che serve. Con la lotta e con la grazia di Dio, si può sempre vincere, con amore, per amore, nell’amore, per difendere e accrescere sempre la nostra capacità di amare.
Il Cuore Immacolato di Maria Santissima ci comprende tutti. Ella è Madre buona, la tota pulchra, tutta bella e senza macchia. Possiamo pregarla con le parole di un canto popolare, che ricordo da bambino di aver sentito tante volte cantato magari da qualche vecchietta tanto devota quanto stonata: “Siam peccatori, ma figli tuoi, Immacolata, prega per noi”.
Amen