Da un articolo apparso su Studi Cattolici: n° 250 del Dicembre 1981
di H. de Azevedo: La virtù di sorridere – TEOLOGIA DEL BUON UMORE, trascrivo il paragrafo: LO SPIRITO DI LIBERTÀ. Sono annotazioni piene di saggezza di un filosofo che è sacerdote ed esperto direttore spirituale. Con questo scritto inauguro il capitolo “Note di direzione spirituale” nel quale mi piacerebbe postare consigli vari nati dall’esperienza di questa arte tanto utile alle anime che vogliono seguire Cristo e identificarsi con Lui.
Vorrei ora soffermarmi su di un altro aspetto che, pur strettamente collegato ai precedenti, ci permetterà di considerare il buon umore da un altro punto di vista: lo spirito di libertà.
L’uomo troppo “serio”, sempre austero e imperturbabile non capta un’importante componente nella sua relazione d’amore con Dio. Il Signore, che è vero Padre, non passa il tempo a “obbligare” i suoi figli: certo alcune volte comanda, altre volte ci consiglia, ma in tante occasioni ci lascia un’ampia libertà. Se non obbediamo ai suoi comandamenti, pecchiamo; se non siamo docili ai suoi consigli, perdiamo un’opportunità di ricevere la sua grazia; se invece facciamo uso della libertà che in tanti casi ci lascia, ben lungi dal peccare o dal perdere dei meriti noi stiamo seguendo lo Spirito Santo, proprio come se ci sottomettessimo o ci lasciassimo condurre dalle ispirazioni. Nell’ambito di ciò che Dio lascia alla decisione umana, tutto ciò che desideriamo fare – a patto che si tratti di un bene – non è semplicemente un nostro atto legittimo: in quei casi è Dio stesso che fa “sua” la nostra volontà liberissima, così come un padre accetta volentieri le scelte di suo figlio, quando queste si mantengano all’interno di ciò che è legittimo.
L’uomo troppo “serio” tende a ridurre la vita a una scelta drammatica tra “il” male e “il” bene, come se non ci fosse un’infinita gradazione di valori morali (positivi e negativi) e come se in ogni circostanza egli si trovasse obbligato a scegliere “il bene” proprio ed esclusivo di quella situazione… In realtà, quasi sempre, le possibili soluzioni morali positive per ciascun problema sono molte, non una sola.
Un bel episodio della vita di Monsignor Escrivà (ndr: il futuro san Josemarìa) potrà forse servire come esempio. Intorno all’anno 1929, su un tram, un operaio sporco di calce si avvicina a quel giovane sacerdote dalla talare impeccabile e, approfittando di uno scossone del veicolo, insudicia di bianco la veste ecclesiastica, tra i sorrisi di alcuni passeggeri e il silenzio risentito di altri. Quando però si sta avvicinando la sua fermata, il fondatore dell’Opus Dei si volta con un sorriso divertito e pieno d’affetto per dire all’operaio: “Figlio mio, terminiamo questo lavoro…” e gli dà un forte abbraccio, sporcandosi di calce tutt’intero. Forse questa era l’unica soluzione possibile di quell’incidente? Credo di no. Certo, fu una soluzione magnifica, però non era l’unica. Bisogna insistere sul fatto che la libertà non consiste solo nella capacità di scegliere il bene, ma nel saper scegliere un determinato bene tra tutti quelli che ci si presentano come possibili. Se, di fronte a colui che mi ha insultato, ho protestato (fermo restando il perdono interiore) per difendere la mia reputazione, ho fatto bene; se ho preferito rassegnarmi in silenzio (potendolo fare), ho fatto bene; se l’ho abbracciato affettuosamente come un fratello, ho fatto bene; se gli ho chiesto scusa del danno causatogli involontariamente, ho fatto bene; ho fatto bene anche se gli ho spiegato con calma i miei diritti e la mia innocenza; ho fatto bene se mi sono preoccupato sinceramente della causa della sua esasperazione e gli ho consigliato un rimedio…
Non si dica dunque che il meglio sarà indicato dalle circostanze, dal momento che non è assolutamente un obbligo seguire “il meglio”, e nessun moralista saprà dimostrare, molte volte, ciò che sia effettivamente la cosa migliore in ogni caso. In quelle che chiamiamo circostanze sono comprese sempre la personalità di ciascuno, il suo temperamento, l’educazione che ha ricevuto, il suo stato d’animo e, inoltre, un reale e ampia libertà di reagire come preferisce, sempre che si rispettino i comandamenti divini. Altrimenti come si potrebbe giustificare l’enorme diversità di comportamento, in circostanze simili, da parte della svariatissima moltitudine dei santi che la Chiesa ha canonizzato? Con le distinte ispirazioni della Spirito Santo? Certamente, però è importante chiarire che mozioni dello Spirito non hanno alcuna ragione di essere uniformi, e neppure sensibili, concrete, determinate; esse agiscono quasi sempre ab intra, dal profondo della libertà umana e, abitualmente, rispettando il processo proprio del nostro arbitrio.
Dimenticare questa realtà da origine allo scrupolo, la tortura intima dell’uomo che vede difetti in tutto ciò che fa, forse perché le sue disposizioni non sono state le migliori (cosa che per lui significa le uniche buone), perché non ha saputo raggiungere quel bene esclusivo che secondo il suo modo di vedere era l’unica soluzione permessa da Dio.
Bisogna notare inoltre che non esistono virtù “assolute”, vale a dire statiche; sono tutte dinamiche, relative, nel senso che tutte le disposizioni virtuose possono essere considerate difettose rispetto a un grado superiore o a un modo diverso di esercitarle, senza che cessino per questo di essere virtù, anzi ammirevoli virtù.
Racconta San Girolamo di Santa Paola (una vedova che egli dirigeva spiritualmente) che, nonostante tutti i consigli ricevuti, non si dava pace della morte di suo marito. Il santo la rimproverava, chiedendole dove fosse la sua accettazione della volontà di Dio, il suo distacco dalle creature, la sua pazienza… Però essa continuava a piangere senza conforto il suo amato sposo. E lo stesso San Girolamo indovina la nostra obiezione: ma che santa era questa? “Allora io vi dico che ciò che in lei era un difetto, in altre sarebbe una virtù”. Ecco qui: faceva bene a piangere. Magari fosse altrettanto grande l’amore di tutte le spose. Sarebbe stata migliore questa donna se non avesse rimpianto tanto suo marito? Chi potrebbe dirlo? Tutto questo sarà dipeso dal grado di amore che gli portava, dal suo temperamento più o meno appassionato… Se fu un difetto, fu senza dubbio anche un virtù ammirevole, esemplare.
“E’ venuto Giovanni che non mangia e non beve, e hanno detto: “Ha un demonio”. E’ venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone…” ” (Mt 11,18-19). Forse che Gesù fu meno perfetto di Giovanni Battista? Meno sobrio, meno distaccato, meno povero? Chi non si rende conto dell’enorme gamma di possibilità che si presentano all’uomo nel vivere le virtù, nell’essere “perfetto”, vivrà perennemente angustiato. Qualunque cosa buona faccia, si riempirà di scrupoli non appena noterà un diverso atteggiamento di un qualche santo. Non potrà conoscere la “libertà con la quale Cristo ci ha liberati” (Gal. 4,31); sarà amareggiato dalle critiche degli eterni farisei; non avrà pace e tantomeno buon umore.
Al contrario, chi consce il modo in cui lo Spirito Santo guida abitualmente le anime, agendo nell’intimo della loro coscienza libera, in modo che ognuno, cercando il bene che gli conviene, compia ciò che è comandato, vive meravigliandosi con gioia della ricchissima diversità di opzioni buone che incontra nel legittimo modo di agire dei suoi fratelli. Contempla con gioia la vita cristiana propria e altrui, e ammira gli amabili ed entusiasmanti cammini di Dio.
"Non si dica dunque che il meglio sarà indicato dalle circostanze, dal momento che non è assolutamente un obbligo seguire "il meglio", e nessun moralista saprà dimostrare, molte volte, ciò che sia effettivamente la cosa migliore in ogni caso. In quelle che chiamiamo circostanze sono comprese sempre la personalità di ciascuno, il suo temperamento, l'educazione che ha ricevuto, il suo stato d'animo e, inoltre, un reale e ampia libertà di reagire come preferisce, sempre che si rispettino i comandamenti divini"
Bellissimo e verissimo!
Questo articolo serve come il "pane"!!!
Grazie 🙂
Un articolo liberante ! Grazie !!