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CERCAVO LA FORZA PER GODERE DI TE, la conversione di sant’Agostino nelle sue parole

Forse le parole più famose di sant’Agostino si leggono oggi, nella sua memoria, nella Liturgia delle ore. Ma sono sempre nuove e conviene rileggerle piano. Agostino parla con Dio, che lo invitò a entrare in se stesso, dove trovò la luce superiore che lo ha creato. Cercava la forza per godere di Lui, e solo abbracciando Cristo Verbo incarnato l’ha trovata. Segnalo ancora l’ultima frase, nella quale descrivendo l’azione di Dio nei suoi confronti, cita tutti e cinque i sensi esterni: “hai gridato, mi hai abbagliato, hai alitato su di me il tuo profumo, ti ho gustato, mi hai toccato”. A segnalare che l’azione di Dio ha avvolto tutta la sua persona nella sua unità di anima e corpo.



Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo
(Lib. 7, 10, 18; 10, 27; CSEL 33, 157-163. 255)

Eterna verità e vera carità e cara eternità!Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce.


O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi parve di udire la tua voce dall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me».Cercavo il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gli uomini, l’Uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo, che io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14).Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini.Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.

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