Guardo la luna piena che illumina d’argento la città, i balconi e le piazze e penso a quello che il Papa Francesco ieri ci diceva. Ci sorprendeva nel vedere nella vedova di Nain, un’ immagine della Chiesa. Perché la Chiesa è in vedovanza del suo sposo che non si vede, spiegava. Sono abituato a predicare sul già della presenza di Cristo nella sua Chiesa, nei sacramenti, nella comunione fraterna (dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20)), molto di meno a predicare sul non ancora della pienezza del possesso di Cristo, della corsa verso di Lui, verso l’incontro definitivo. E il Papa lo ha fatto, sorprendendomi ancora una volta. E mi ha portato a meditare su quel Vangelo, e attraverso le sue parole ritrovarlo profondamente suggestivo ed eloquente.
Ve lo racconto (Lc 7,11-17): In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Vedete come tutto si illumina? I suoi discepoli, cioè noi, camminano con Lui. Gli diciamo che vogliamo camminare con Lui, abbiamo bisogno di Lui, di ascoltarlo, di imparare da Lui: perché questo è essere discepoli. E di guardare attorno a Lui quella grande folla: tutti desiderano ascoltarlo, ricevere luce dalle sue parole e dai suoi gesti. Gli diciamo: anche oggi Ti vogliamo portare alla folla, e portare la folla a Te. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; emolta gente della città era con lei. Che buona la gente della città. Anche noi consoliamo chi sta nel dolore, ma non possiamo fare molto più di questo. La porta della città ricorda il luogo stesso dove anche Gesù consumerà la sua passione, e dove verrà sepolto.Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei Mentre nelle altre due resurrezioni, la figlia di Giairo e Lazzaro di Betania, ci sono tanti particolari che rendono vivace la scena, in questa spesso avevo cercato qualche appiglio ma senza trovarlo. Eppure oggi, con il rilievo delle parole di Papa Francesco, come risulta esplicita e forte la commozione di Gesù: perché vede in questa donna sua madre che piangerà per Lui morto, vede la Chiesa di tutti i tempi che piange i suoi figli che hanno perso la vita, e per quelli che hanno perso la grazia divina, la fede, morti per il peccato. E Gesù vuole consolare la Chiesa, darle speranza. Noi siamo dentro la Chiesa, e riceviamo questa consolazione del Signore. a riceviamo tutta, ne abbiamo bisogno! e le disse: «Non piangere!». Il Papa Francesco dice che “la Chiesa quando è fedele, sa piangere. Quando la Chiesa non piange qualcosa non va bene”. Concludo: va bene piangere per sentirsi dire da Gesù: non piangere! Occorre piangere per ascoltare quelle parole di consolazione e di vita. Piangere che significa rendersi conto, essere compassionevoli, percepire il dramma della morte e del peccato, e allora si potremo ascoltare il consiglio di Gesù, l’esortazione affettuosa: non piangere! ci sono qua io. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Potere delle parole e dei gesti di Gesù: i portatori si fermano. Mi ricordano i servi docili di Cana che riempiono le anfore di pietra fino al colmo, che fanno quello che lui dice. E il padrone dell’asino di Betania, che lascia fare, perché è per il Signore. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Vedi il Vangelo,, come è realista: anche i morti ascoltano ed obbediscono, primizia della nostra resurrezione. Quando anche a noi morti da tempo dirà: alzati. Ed egli lo restituì a sua madre. Cos’hai fatto nel frattempo Gesù? Hai preso in braccio il ragazzo? Lo hai aiutato a scendere dalla portantina? Lo hai sciolto dalle bende e dal sudario da morto? Non hai chiesto l’aiuto di altri. Gli altri erano bloccati a bocca aperta a capire cosa stava succedendo. E tu lo accogli, lo saluti, lo conforti, lo accarezzi e lo porgi a sua madre. Come fai quando ci fai risorgere dalla morte del peccato, spiegava il Papa: ci restituisci alla Chiesa. Anche questo é un motivo per la mediazione del sacerdote: le sue braccia, le sue mani sono quelle della Chiesa madre,, e insieme quelle del Padre Dio, di Gesù Cristo crocifisso e risorto. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Com’è facile adesso meditare questo Vangelo: possiamo metterci al posto della madre, perché tutti siamo Chiesa, e abbiamo figli e fratelli e sorelle da portare al Cristo che viene alla porta della città. Magari inconsapevolmente, magari pensando che non c’è più niente da fare, mentre lo stiamo portando al cimitero.. Possiamo metterci al posto del figlio, perché lo siamo sempre, e in particolare quando ci sentiamo morti e sepolti. In entrambi i casi incontriamo Gesù che si commuove; per il dolore della madre, per la morte del figlio. Gesù vero uomo, pienamente uomo, con tutti i sentimenti al massimo, che si vede quando si commuove, e colpisce i discepoli: che imparano la sua umanità, la provenienza divina dei sentimenti, la divina possibilità del cuore umano di esprimersi.
E la vedovanza della Chiesa di cui parla il Papa, mi fa tornare alla mente il Cantico dei Cantici, canto nuziale che è parola di Dio, e, forse, un modo più pieno di leggere quell’abbandono della sposa da parte dello sposo del capitolo 3,1-4:
Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l’amore dell’anima mia;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi alzerò e farò il giro della città
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amore dell’anima mia.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
«Avete visto l’amore dell’anima mia?».
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l’amore dell’anima mia.
Lo strinsi forte e non lo lascerò,
finché non l’abbia condotto nella casa di mia madre,
nella stanza di colei che mi ha concepito.
Quella che avevamo pensato fosse prevalentemente l’esperienza di un anima, la storia di un’anima nel suo rapporto con Dio, ora siamo portati a pensare che è esperienza della Chiesa. Forse Gesù quando si fa incontrare dopo la risurrezione da Maria Maddalena che piange perché lo ha perduto, collega il suo riapparire a queste parole della Scrittura, ma le dice, a lei che lo stringe: non mi trattenere perché non sono ancora salito al Padre: dovrò dunque lasciarti senza la mia visione, senza il tuo poter stringere il mio corpo. Dunque in stato di assenza, di attesa, anche se poi dirà: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. E quindi li orienta, li abitua all’incontro con lui nei sacramenti, nell’orazione. Nella fede lo cerchiamo, nella fede lo troviamo: credo fermamente che sei qui, che mi vedi, che mi ascolti, gli diciamo nel pregare, nell’adorare. Credo anche se non vedo, credo anche se non sento, credo anche se non tocco. Credo nella tua presenza Eucaristica, credo che sei presente nell’anima in grazia, e nella tua Parola, e nella comunione dei santi, e negli altri sacramenti. E rimango ad adorare per seguire Gesù nelle vie e nelle piazze, con la folla. Per lasciarmi consolare da Lui. Per portargli me stesso e i fratelli bisognosi di risurrezione. Per ricevere la luce del sole che è Cristo e poter illuminare i sentieri della terra, il campo del mondo, con la sua luce. Ecco che tutto si collega anche con lo spettacolo che vedo se guardo fuori dalla finestra, se esco sul balcone in queste sere di settembre. In queste sere la lune è piena. In un palazzo del centro di Milano, la terrazza dell’ultimo piano è illuminata come da un faro potente. Che getta luce sulla superficie e crea ombre. Ombre delle sedie, dei tavoli, degli arbusti. Stupore metropolitano della natura di sempre. Quella che ci precede e ci succederà. Quella che videro gli antenati e vedranno i pronipoti. E mi sembrava che la luna, quella stessa luna che si affacciava sula piazza di san Pietro quando Papa Giovanni parlava e diceva di salutare i bambini con la sua carezza, quella luna ci ricorda che per i Padri della Chiesa era immagine della Chiesa. Vado a controllare un citazione: mi ricordo che Giovanni Paolo II lo diceva all’inizio del nuovo millennio (Novo Millennio Ineunte). E’ proprio così, al n. 54: “Un nuovo secolo, un nuovo millennio si aprono nella luce di Cristo. Non tutti però vedono questa luce. Noi abbiamo il compito stupendo ed esigente di esserne il « riflesso ». È il mysterium lunae così caro alla contemplazione dei Padri, i quali indicavano con tale immagine la dipendenza della Chiesa da Cristo, Sole di cui essa riflette la luce. 38 Era un modo per esprimere quanto Cristo stesso dice, presentandosi come « luce del mondo » (Gv8,12) e chiedendo insieme ai suoi discepoli di essere « la luce del mondo » (Mt 5,14). È un compito, questo, che ci fa trepidare, se guardiamo alla debolezza che ci rende tanto spesso opachi e pieni di ombre. Ma è compito possibile, se esponendoci alla luce di Cristo, sappiamo aprirci alla grazia che ci rende uomini nuovi.”
D’accordo, futuri santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, d’accordo Papa Francesco, dalla vostra parola e dalla vostra vita impariamo, proveremo a correre verso Cristo, a cercarlo per le vie e le piazze, a rubare la sua luce, ad abbronzarci alle sue parole, a incamerare tanto splendore da illuminare i cammini della terra, da scacciare le tenebre sui cammini degli uomini, anche se a volte sarà in modo pallido, come fa la luna questa sera.
(38) Così, ad esempio, S. Agostino: « Luna intellegitur Ecclesia, quod suum lumen non habeat, sed ab Unigenito Dei Filio, qui multis locis in Sanctis Scripturis allegorice sol appellatus est »: Enarr. in Ps. 10, 3: CCL 38, 42.