Il 29 settembre, alla Messa delle 18 a san Gioachimo, è avvenuto l’ingresso del nuovo parroco don Marco Busca, e del nuovo viceparroco don Andrea Cumin. Riferisco in breve la storia della decisione dell’Arcivescovo di Milano di affidare a sacerdoti della prelatura dell’Opus Dei questa parrocchia in Milano; l’introduzione alla Messa di ingresso di mons. Faccendini; il testo degli impegni presi pubblicamente da parroco e viceparroco, e una breve sintesi dell’omelia di don Marco.
Tutto è cominciato nel novembre del 2012, quando il Card. Angelo Scola ha proposto al Prelato dell’Opus Dei mons. Javier Echevarria, in occasione di un suo viaggio a Milano, e al suo vicario per l’Italia don Matteo Fabbri, che una parrocchia di Milano potesse essere affidata a sacerdoti della Prelatura dell’Opus Dei. Avendo ricevuto risposta positiva, più avanti, attraverso il suo Vicario per la città di Milano, la proposta ha preso il nome della parrocchia di S. Gioachimo, costruita nel 1880, situata tra la stazione Centrale e la stazione Garibaldi delle Ferrovie dello Stato, la stazione Gioia della linea 2 della Metropolitana, e la stazione Repubblica della linea 3, il cui parroco era in procinto di trasferirsi in altra parrocchia.
Questa possibilità è piaciuta molto, e dopo l’opportuna convenzione tra la diocesi di Milano e la Prelatura, l’Arcivescovo Card. Scola ha nominato in data 4 settembre 2013 parroco di san Gioachimo don Marco Busca e don Andrea Cumin viceparroco. Don Piero Cecchi, già residente in quella parrocchia, del clero ambrosiano, continua a prestare a loro il suo prezioso aiuto. Dunque torniamo al 29 settembre. Erano presenti alcuni sacerdoti diocesani del decanato, e altri che conoscono bene sia don Marco che don Andrea, della Prelatura anche don Matteo Fabbri e il sottoscritto. E’ cominciata la Messa, la chiesa piena di fedeli attenti e partecipi. Presiedeva all’inizio il vicario episcopale di Milano, mons. Carlo Faccendini. Introducendo la celebrazione, don Carlo ha sottolineato che ogni cambiamento di parroco va nella linea della tradizione e insieme della novità, e questo è uno dei compiti del nuovo parroco: sapere che si inserisce in una tradizione di lavoro pastorale, educativo, catechistico, umano, storico, che deve imparare a conoscere e assecondare, a continuare, con sapienza e con pazienza. Al contempo è anche novità, e in questo senso anche i parrocchiani sono chiamati a conoscere e capire la novità del parroco e del vice parroco. A conoscerli, aiutarli, ad imparare a seguirli. In questa novità, sempre presente in ogni cambiamento di parroco, si inserisce anche la caratteristica che i nuovi sacerdoti sono appartenenti alla Prelatura dell’Opus Dei, e quindi porteranno a servizio della parrocchia la loro esperienza, il loro carisma, la loro spiritualità. Tutto ciò avviene nella piena fedeltà alle linee pastorali che l’Arcivescovo ha dato a tutta la diocesi, orientando tutti a contribuire alla missione della Chiesa, che in modo particolare in questo tempo è chiamata ad evangelizzare, avendo presente che “il campo è il mondo” come dice Gesù nella parabola del grano e della zizzania, e in questo mondo dobbiamo lanciarci a seminare il vangelo, come l’Arcivescovo segnala nella sua lettera pastorale.
Dopo le parole iniziali del Vicario Episcopale,
ha avuto inizio, con il nuovo parroco che gli stava di fronte, il rito del rinnovamento delle promesse presbiterali applicate all’incarico appena ricevuto. E’ stato un momento toccante. Ognuno dei presenti le ha ascoltate pregando per i sacerdoti presenti e forse anche applicandole a sé: ogni incarico ricevuto nella Chiesa può ricevere luce di responsabilità da queste parole. Ecco il dialogo che si è svolto tra mons. Faccendini , don Marco e don Andrea.
A questo punto tutti i presenti hanno espresso la loro gratitudine a Dio, e il loro affetto al parroco, al Vicario Episcopale e all’Arcivescovo per questo dono, con un lungo e commosso applauso.
La Messa è continuata, presieduta dal Parroco. Nell’omelia precisa e concreta, don Marco ha fatto riferimento alla festa degli Arcangeli che abitualmente ricorre il 29 settembre, quindi all’immagine scelta per il ricordo della celebrazione: una vetrata della Chiesa nella quale si vede l’Angelo che soccorre il profeta Elia, con quei pani che lo aiutarono a camminare per quaranta giorni e che sono figura dell’Eucaristia. Don Marco ha detto che quell’immagine e quel’episodio “ci può aiutare a consolidare la certezza riguardo all’aiuto costante di Dio nel nostro cammino.” Ha spiegato che possiamo e dobbiamo avere mete alte e superare le preoccupazioni basandoci sull’aiuto di Dio. Ho sottolineato in vari modi nelle sue parole che “la nostra non è un’impresa solo umana: è una cosa di Dio”. Ha ricordato che Giovanni Paolo II ebbe a dire in un’occasione che può succedere che chi si occupa del “lavoro del Signore” perda di vista “il Signore del lavoro”. Per evitare questo pericolo ha suggerito ai presenti di passare un minuto in chiesa ad adorare il Signore, prima di cominciare una attività qualunque in parrocchia e se possibile di fare lo stesso alla fine del lavoro, passare ad adorare silenziosamente il Signore nell’Eucaristia e affidargli il lavoro compiuto, iniziato con la spinta della sua grazia. Facendo riferimento alle letture del rito Ambrosiano a sottolineato come nessuno debba sentirsi escluso dalla misericordia di Dio, ha richiamato quello che l’Arcivescovo dice nella lettera pastorale Il campo è il mondo: per raggiungere tutti occorre che la comunità cristiana “realizzi un’apertura a 360°.” “La prospettiva è appassionante e bella! Diciamo al Signore che vogliamo buttarci a capofitto per realizzarla! Ci riusciremo quanto più manterremo chiaro che è il Signore che ci guida, e ci lasceremo guidare da Lui”. “San Paolo esprime questo lasciarsi guidare in Cristo (nella seconda lettura della Messa, lettera ai Romani) con la bella espressione: Cristo non cercò di piacere a se stesso. Possiamo tentare di fare nostro questo atteggiamento spirituale con l’aiuto della grazia: vivere la situazioni in cui ci troviamo quotidianamente vedendo in esse la volontà di Dio, realtà quindi da amare, in cui buttasi a capofitto!” Utilizzando parole di Papa Francesco ha richiamato poi il primato dell’essere sul fare: “non si fa catechismo, si è catechisti”. Ha concluso ricordando che da tanti anni ha come punto di riferimento spirituale un atteggiamento decritto da san Josemaria Escrivà con queste parole: Fa quello che devi e mettiti in quello che fai. Si tratta di cercare di coinvolgerci con tutto il nostro essere nell’assolvimento dei propri compiti vivendo ogni circostanza come un’occasione per donare se stessi a Dio e agli altri. Con questo spirito ha dichiarato, stava vivendo i primi giorni da parroco di san Gioachimo, e si proponeva di continuare così, e offriva a tutti lo stesso proposito, di vivere innanzitutto così i propri compiti familiari, di lavoro e sociali, e le collaborazioni alla vita della parrocchia, per le quali ringrazia tutti pensando al passato e guardando al futuro.
La Messa è proseguita con preghiere dei fedeli adatte all’occasione, canti intensi e ben eseguiti che aiutavano al raccoglimento di preghiera e a vivere la liturgia. Dopo la Messa piccola festa e saluti in locali adiacenti, mentre molti ragazzi giocavano rumorosamente nel cortile. Durante la Messa i parrocchiani, in una manifestazione dei propri desideri, avevano chiesto al Signore, che la chiesa si riempisse di giovani. Su una parete del cortile della parrocchia che è interno alle case, c’è un murales che riproduce l’immagine della chiesa parrocchiale dalla quale esce per incamminarsi su una strada che va verso il mondo, un carretto trainato da un asinello, e la scritta: Il Signore ne ha bisogno. E’ Gesù che dice così ai suoi discepoli quando vanno a prendere l’asinello per l’entrata a Gerusalemme. Dite così se vi domandano perché lo prendete. Conoscendo la simpatia di san Josemarìa per l’asinello, come icona del discepolo che segue e serve il Signore, e la sua passione per l’immagine delle strade del mondo che sono state aperte dal passaggio di Cristo a diventare strade che portano a Dio, diventate grazie alla sua Incarnazione e all’opera della Redenzione, luogo di incontro con Lui e veicolo di passaggio del suo vangelo, ho avuto un soprassalto di stupore.
Nell’uscire verso la città, all’imbrunire, si vedevano davanti alla parrocchia, i grattaceli nuovi, nuovi uffici, nuove case per famiglie giovani…e tornavano in mente quelle parole del Vangelo riprese dall’Arcivescovo, come missione, come speranza: il campo è il mondo!