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PASTORALE DELLE PERSONE DIVORZIATE E RISPOSATE, Alcuni testi del magistero recente

Maria scioglie i nodi delle difficoltà matrimoniali

Pastorale dei divorziati risposati. Orientamenti del Magistero, suggerimenti pastorali.


Mi è stata chiesta una breve sintesi di testi del magistero che trattano l’argomento dei divorziati risposati, che propongo. Possono essere utili a chi voglia rinfrescare la memoria di testi già letti, che conservano luce e chiarezza a distanza di tempo, per preparare una catechesi su questo tema sia da un punto di vista dottrinale che di atteggiamento pastorale. Naturalmente è una sintesi integrabile e migliorabile, e per essere esposta necessita uno studio del documento intero e di altri testi esplicativi. E’ una silloge di 11 testi, alcuni riportati per intero, altri sintetizzati, sono vari e di varia natura, non ciascuno dello stesso valore. la maggioranza sono di Giovani Paolo II, alcuni di Benedetto XVI e di Papa Francesco, altri di Card. Ratzinger, e card. Tettamanzi.  Alcuni sono documenti ufficiali, altri interviste, in particolare quelli di Papa Francesco. Va fatto notare che nel Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 47-52 illustra molto bene il matrimonio, ma pur citando “la piaga del divorzio”, non si addentra in questo problema dottrinale e pastorale, probabilmente perché ancora il divorzio non era entrato massicciamente nelle legislazioni civili di paesi cattolici. Successivamente il Magistero invece si occupa del problema che è cresciuto rapidamente. Anche il singolo fedele con la propria famiglia può rileggere e ascoltare le parole del Magistero della Chiesa per assimilarle e viverle. Affrontiamo queste letture sotto lo sguardo della Madonna che scioglie i nodi sapendo che l’origine di questa devozione è un quadro fatto dipingere come ex voto per una grazia ottenuta riguardo a una difficoltà matrimoniale. E che l’arcivescovo Bergoglio conobbe in Germania e diffuse molto a Buenos Aires. Anche noi le chiediamo di sciogliere tante situazioni annodate, e di aiutarci a vivere in prima persona l’atteggiamento che la Chiesa propone a se stessa e chiede ai suoi pastori e ai suoi fedeli.


Un possibile testo di bibliografia di base che contiene riferimenti a documenti successivi al Vaticano II può essere La Pastorale dei divorziati risposati. LEV, 1997, pag. 131, euro 7,75 che contiene:
I. Una introduzione del card. Ratzinger che espone in sintesi il pensiero della Chiesa e risponde alle obiezioni più diffuse in quel tempo.
II. Riporta poi per esteso tre testi del Magistero:
1. Giovanni Paolo II: Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 1981, n.84
            – offre trattazione breve ma completa del problema e di come affrontarlo: vale la pena riportarlo tutto: L’esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l’hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.

Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.”

Annotiamo che segnala le differenti situazioni. Mette in evidenza l’oggettività del motivo per cui non vengono fatti accostare ai sacramenti ma non ne dà un giudizio soggettivo. Indica già sette opere in unione alla Chiesa con le quali implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. E l’atteggiamento della Chiesa che si dimostri madre misericordiosa, li sostenga nella fede e nella speranza.”

2. Congregazione per la Dottrina della Fede: Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la ricezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994
            – in questo testo, tra le modalità da consigliare ai fedeli divorziati e risposati nel vivere uniti alla Chiesa, si aggiunge: la Comunione Spirituale
            – affronta anche il problema della convinzione personale della nullità del precedente matrimonio: e ribadisce l’importanza del giudizio del tribunale ecclesiastico, con la motivazione che il matrimonio è un fatto pubblico, per questo la sua nullità va riconosciuta dalla Chiesa in modo pubblico. Segnala che il nuovo Codice di diritto canonico (del 1983) nei canoni 1536 e 1679 dà un  valore probante alle dichiarazioni delle parti, in tali processi, “offre nuove vie per dimostrare la nullità della precedente unione, allo scopo di escludere per quanto possibile ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità conosciuta dalla retta coscienza” (n.9). Nell’introduzione del libro card. Ratzinger afferma su questo punto: “non è escluso che in processi matrimoniali intervengano errori. In alcuna parti della Chiesa non esistono ancora tribunali ecclesiastici che funzionino bene. Talora i processi durano in modo eccessivamente lungo, In alcuni casi terminano con sentenze problematiche. Non sembra qui in linea di principio esclusa l’applicazione dell’epicheia in “foro  interno”…Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni…allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico -sottratto al giudizio soggettivo – del matrimonio.” (pag. 26)
            – incita ad aiutarli a riconoscere il carico dolce e leggero, non perchè piccolo o insignificante, ma perchè il Signore e con lui tutta la Chiesa lo condivide

3. Giovanni Paolo II: Discorso all’Assemblea Plenaria del Pontifico Consiglio per la Famiglia, 24 gennaio 1997
            – pastorale di preparazione e di tempestivo sostegno
            – come avvicinarli ad accogliere la grazia di Dio: accoglienza, ascolto della parola di Dio, preghiera, opere di carità, opere di penitenza, formazione umana e cristiana dei figli, farli partecipi della sapienza del Vangelo. Altri membri della famiglia: che stiano loro vicini, che non significa avere condiscendenza con il loro stato, ma aiuto.
            – sperare contro ogni speranza (Rm 4,18)

III. La terza parte del libro con articoli di commento di vari teologi e canonisti (Tettamanzi, Pompedda, Rodriguez Luño, Marcuzzi,  Pelland)

Altri testi del magistero sull’argomento:
            .
4. Giovanni Paolo II: Reconciliatio et Poenitentia, n. 34 , 1984
            – La Chiesa invita i suoi figli che si trovano in queste situazioni dolorose “ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie…finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste

5. Giovanni Paolo II: Catechismo della Chiesa Cattolica, 1993
1650-1651 Il punto 1650, dice che ” non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali”; (il Codice di diritto Canonico (874,§ 3) per il padrino dice che deve “condurre una vita conforme alla fede e all’incarico che assume”, e che consiste nell’obbligo di formare con le parole e con l’esempio…nella fede e nella pratica della vita cristiana (774 §2); 1651: “I sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di attenta sollecitudine ” verso di loro.

6. Giovanni Paolo II: Lettera alla Famiglie, 2 febbraio 1994, n.5 Incessante preghiera per tutte le famiglie, anche quelle irregolari, “Possano tutte sentirsi abbracciate dall’amore e dalla sollecitudine dei fratelli e delle sorelle!” Al contempo viene ribadito il valore delle situazioni regolari, e che si eviti di presentare come regolari quelle che non lo sono.

7. Benedetto XVI: Sacramentum caritatis, 29: Documento scritto dopo il sinodo dei Vescovi sull?eucaristia, nel quale si tratta a relazione dell’Eucaristia con i vari sacramenti, fra cui il matrimonio. Al n. 29 torna su questo argomento:”Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso (1: questa numerazione non è nel documento, ndr) la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, (2) l’ascolto della Parola di Dio, (3) l’Adorazione eucaristica, (4) la preghiera, (5) la partecipazione alla vita comunitaria, (6) il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, (7) la dedizione alla carità vissuta, (8) le opere di penitenza, (9) l’impegno educativo verso i figli. Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare.(98) (…) Troppo grande è il bene che la Chiesa e l’intera società s’attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale.”
(ndr: si notino le novità rispetto ai testi precedenti: Adorazione Eucaristica, partecipazione alla vita comunitaria, dialogo con un sacerdote o maestro di vita spirituale)

8. Dionigi Tettamanzi, quando era Arcivescovo di Milano, ha scritto la lettera: Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione, 20 gennaio 2008. Che ha avuto in pochi giorni grande diffusione. Eccone alcuni brani: “La prima cosa che vorrei dirvi, sedendomi accanto a voi, è dunque questa: “La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni”. Mi vengono in mente le parole di speranza che Giovanni Paolo II rivolse alle famiglie provenienti da tutto il mondo in occasione del loro Giubileo nel 2000: “Di fronte a tante famiglie disfatte, la Chiesa si sente chiamata non ad esprimere un giudizio severo e distaccato, ma piuttosto ad immettere nelle pieghe di tanti drammi la luce della parola di Dio, accompagnata dalla testimonianza della sua misericordia”. E allora se avete trovato sul vostro cammino uomini o donne della comunità cristiana che vi hanno in qualche modo ferito con il loro atteggiamento o le loro parole, desidero dirvi il mio dispiacere e affidare tutti e ciascuno al giudizio e alla misericordia del Signore. la scelta di interrompere la vita matrimoniale non può mai essere considerata una decisione facile e indolore! Quando due sposi si lasciano, portano nel cuore una ferita che segna, più o meno pesantemente, la loro vita, quella dei loro figli e di tutti coloro che li amano (genitori, fratelli, parenti, amici). Questa vostra ferita anche la Chiesa la comprende.(…) La separazione diventi invece occasione per guardare con più distacco e forse con più serenità la vita coniugale. Non è opportuno – ci insegna un saggio principio della vita spirituale – prendere decisioni definitive quando il nostro animo è scosso da inquietudini o burrasche. (…) A quanti, nella luce della verità, comprendono di aver avuto una precisa responsabilità, anche grave, nel dissipare il tesoro del proprio matrimonio, vorrei fraternamente chiedere di accogliere l’appello dell’amore misericordioso di Dio, che ci giudica con verità, ci chiama alla conversione, ci guarisce con la proposta di una vita nuova. (…) A quegli sposi, invece, che hanno maggiormente sentito come ingiustizia subita la crisi del loro matrimonio, voglio dire che essi, in quanto cristiani, non possono dimenticare la dolorosa ma vivificante parola della Croce. Da quel terribile luogo di dolore, di abbandono e di ingiustizia il Signore Gesù ha svelato la grandezza del suo amore come perdono gratuito e come offerta di sé. (…) Nelle vostre dolorose pagine di vita i bambini sono spesso tra i protagonisti innocenti ma non meno coinvolti. E lo sono anche i figli più grandi, che vedono crollare le loro certezze affettive nell’età delicata dell’adolescenza e spesso intravedono con più difficoltà la realizzazione, un domani, del loro sogno di amore. Ma la speranza non viene meno: ogni giorno vediamo attorno a noi esempi eroici e ammirevoli di genitori che, rimasti soli, fanno crescere ed educano i propri figli con amore, saggezza, premura e dedizione. Ringrazio queste mamme e questi papà che danno un grande esempio a tutti noi. Li ringrazio, li ammiro e spero proprio che le nostre comunità siano di sostegno nelle loro eventuali necessità. (…) Gesù afferma che il legame sponsale tra un uomo e una donna è indissolubile(cfr. Matteo 19,1-12), perché nel legame del matrimonio si mostra tutto il disegno originario di Dio sull’umanità, e cioè il desiderio di Dio che l’uomo non sia solo, che l’uomo viva una vita di comunione duratura e fedele. Questa è la vita stessa di Dio che è Amore, un amore fedele, incancellabile e fecondo di vita, che viene mostrato, come in un segno luminoso, nell’amore reciproco tra un uomo e una donna. E così, afferma Gesù, “non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (v. 6). (…) Sempre dal senso della parola del Signore deriva l’indicazione della Chiesa riguardo all’impossibilità di accedere alla comunione eucaristica per gli sposi che vivono stabilmente un secondo legame sponsale. Ma perché? Perché nell’Eucaristia abbiamo il segno dell’amore sponsale indissolubile di Cristo per noi; un amore, questo, che viene oggettivamente contraddetto dal “segno infranto” di sposi che hanno chiuso una esperienza matrimoniale e vivono un secondo legame. Comprendete, così, che la norma della Chiesa non esprime un giudizio sul valore affettivo e sulla qualità della relazione che unisce i divorziati risposati. Il fatto che spesso queste relazioni siano vissute con senso di responsabilità e con amore nella coppia e verso i figli è una realtà che non sfugge alla Chiesa e ai suoi pastori. Non c’è dunque un giudizio sulle persone e sul loro vissuto, ma una norma necessaria a motivo del fatto che queste nuove unioni nella loro realtà oggettiva non possono esprimere il segno dell’amore unico, fedele, indiviso di Gesù per la Chiesa. È chiaro che la norma che regola l’accesso alla comunione eucaristica non si riferisce ai coniugi in crisi o semplicemente separati: secondo le dovute disposizioni spirituali, essi possono regolarmente accostarsi ai sacramenti della confessione e della comunione eucaristica. Lo stesso si deve dire anche per chi ha dovuto subire ingiustamente il divorzio, ma considera il matrimonio celebrato religiosamente come l’unico della propria vita e ad esso vuole restare fedele. E’ comunque errato ritenere che la norma regolante l’accesso alla comunione eucaristica significhi che i coniugi divorziati risposati siano esclusi da una vita di fede e di carità effettivamente vissuta all’interno della comunità ecclesiale. (…) Vi chiedo perciò di partecipare con fede alla celebrazione eucaristica, anche se non potete accostarvi alla comunione: sarà per voi uno stimolo a intensificare nei vostri cuori l’attesa del Signore che verrà e il desiderio di incontrarlo di persona con tutta la ricchezza e la povertà della nostra vita. Non dimentichiamolo mai: la Messa comporta sempre per sua natura una “comunione spirituale” che ci unisce al Signore e, in lui, ci unisce ai nostri fratelli e sorelle che si stanno accostando alla sua mensa.”
8. Testimonianza all’Incontro Mondiale della Famiglie di Milano 2012. Domanda a Papa Benedetto e sua risposta:
Famiglia Araujo (Famiglia brasiliana di Porto Alegre), Maria Marta: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare. Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione. Manoel Angelo: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile. Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell’umanità tutta.Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?
Papa Benedetto XVI:Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devonosaperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.
9. Papa Francesco: Intervista nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro
Gian Guido Vecchi: Padre Santo, Lei anche in questo viaggio ha parlato più volte di misericordia. A proposito dell’accesso ai Sacramenti dei divorziati risposati, c’è la possibilità che cambi qualcosa nella disciplina della Chiesa? Che questi Sacramenti siano un’occasione per avvicinare queste persone, anziché una barriera che li divide dagli altri fedeli?
Papa Francesco: Questo è un tema che si chiede sempre. La misericordia è più grande di quel caso che lei pone. Io credo che questo sia il tempo della misericordia. Questo cambio di epoca, anche tanti problemi della Chiesa – come una testimonianza non buona di alcuni preti, anche problemi di corruzione nella Chiesa, anche il problema del clericalismo, per fare un esempio – hanno lasciato tanti feriti, tanti feriti. E la Chiesa è Madre: deve andare a curare i feriti, con misericordia. Ma se il Signore non si stanca di perdonare, noi non abbiamo altra scelta che questa: prima di tutto, curare i feriti. E’ mamma, la Chiesa, e deve andare su questa strada della misericordia. E trovare una misericordia per tutti. Ma io penso, quando il figliol prodigo è tornato a casa, il papà non gli ha detto: “Ma tu, senti, accomodati: che cosa hai fatto con i soldi?”. No! Ha fatto festa! Poi, forse, quando il figlio ha voluto parlare, ha parlato. La Chiesa deve fare così. Quando c’è qualcuno… non solo aspettarli: andare a trovarli! Questa è la misericordia. E io credo che questo sia un kairós: questo tempo è un kairós di misericordia. Ma questa prima intuizione l’ha avuta Giovanni Paolo II, quando ha incominciato con Faustina Kowalska, la Divina Misericordia… lui aveva qualcosa, aveva intuito che era una necessità di questo tempo. Con riferimento al problema della Comunione alle persone in seconda unione, perché i divorziati possono fare la Comunione, non c’è problema, ma quando sono in seconda unione, non possono. Io credo che questo sia necessario guardarlo nella totalità della pastorale matrimoniale. E per questo è un problema. Ma anche – una parentesi – gli Ortodossi hanno una prassi differente. Loro seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità, lo permettono. Ma credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale. E per questo, due cose; primo: uno dei temi da consultare con questi otto del Consiglio dei cardinali, con i quali ci riuniremo l’1, il 2 e il 3 ottobre, è come andare avanti nella pastorale matrimoniale, e questo problema uscirà lì. E, una seconda cosa: è stato con me, quindici giorni fa, il segretario del Sinodo dei Vescovi, per il tema del prossimo Sinodo. Era un tema antropologico, ma parlando e riparlando, andando e tornando, abbiamo visto questo tema antropologico: la fede come aiuta la pianificazione della persona, ma nella famiglia, e andare quindi sulla pastorale matrimoniale. Siamo in cammino per una pastorale matrimoniale un po’ profonda. E questo è un problema di tutti, perché ci sono tanti, no? Per esempio, ne dico uno soltanto: il cardinale Quarracino, il mio predecessore, diceva che per lui la metà dei matrimoni sono nulli. Ma diceva così, perché? Perché si sposano senza maturità, si sposano senza accorgersi che è per tutta la vita, o si sposano perché socialmente si devono sposare. E in questo entra anche la pastorale matrimoniale. E anche il problema giudiziale della nullità dei matrimoni, quello si deve rivedere, perché i Tribunali ecclesiastici non bastano per questo. E’ complesso, il problema della pastorale matrimoniale. Grazie.


10. Papa Francesco. Incontro con i sacerdoti di Roma 16 settembre 2013 (dall’agenzia Vatican Information Service del 17 settembre). Nell’incontro con i preti romani del 16 settembre 2013 non è mancato un riferimento alle  periferie esistenziali, riferito questa volta alla situazione dei cattolici divorziati risposati. “Un problema – ha ricordato Papa Francesco – non si può ridurre soltanto” se si possa “fare la comunione o no, perché chi pone il problema soltanto in questi termini non capisce qual è il vero problema”. È un “problema grave di responsabilità della Chiesa nei riguardi delle famiglie che vivono in questa situazione… La Chiesa “in questo momento deve fare qualcosa per risolvere i problemi delle nullità” matrimoniali. Il Papa ha ricordato che parlerà di questo argomento con il gruppo degli otto cardinali che si riuniscono i primi giorni di ottobre in Vaticano. Anche nel prossimo Sinodo dei Vescovi si parlerà sul “rapporto antropologico” del Vangelo con la persona e la famiglia, in modo che “sinodalmente si studi questo problema”. “Questa – ha sottolineato il Papa – è una vera periferia esistenziale”.

11. Intervista a Civiltà Cattolica 19 settembre 2013, paragrafo intitolato “La chiesa: un ospedale da campo…”
Antonio Spadaro: Papa Benedetto XVI, annunciando la sua rinuncia al Pontificato, ha ritratto il mondo di oggi come soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede che richiedono vigore sia del corpo, sia dell’anima. Chiedo al Papa, anche alla luce di ciò che mi ha appena detto: «Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico? Sono necessarie riforme? Quali sono i suoi desideri sulla Chiesa dei prossimi anni? Quale Chiesa “sogna”?».
Papa Francesco, cogliendo l’incipit della mia domanda, comincia col dire: «Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà. È un uomo di Dio», dimostrando un grande affetto e una enorme stima per il suo predecessore. «Io vedo con chiarezza — prosegue — che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate».
«Come stiamo trattando il popolo di Dio? Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade». «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».
Raccolgo ciò che il Santo Padre sta dicendo e faccio riferimento al fatto che ci sono cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa o comunque in situazioni complesse, cristiani che, in un modo o nell’altro, vivono ferite aperte. Penso a divorziati risposati, coppie omosessuali, altre situazioni difficili. Come fare una pastorale missionaria in questi casi? Su che cosa far leva? Il Papa fa cenno di aver compreso che cosa intendo dire e risponde.
«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». «Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».
«Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».

                                                                                                                             

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