Senza categoria

LO SGUARDO DI DIO SUL NOSTRO LAVORO, omelia di don Piero Vavassori, Duomo di Milano 29 dicembre 2013

Lo scorso anno ha riscosso gradimento nei lettori l’iniziativa di pubblicare su questo blog le omelie pronunciate durante la Novena in preparazione dell’Immacolata Concezione di Maria nel Duomo di Milano. Anche quest’anno ho la possibilità di farlo: sono sei omelie che ha tenuto don Piero Vavassori, Cappellano del collegio Universitario Torrescalla di Milano, molto apprezzate dai fedeli che hanno partecipato numerosi. Altre due omelie le ha tenute il parroco del Duomo , mons. Borgonovo nei due sabati, e altre due il card. Scola, nelle due domeniche d’Avvento. Le Omelie dell’Arcivescovo si trovano sul sito della diocesi di Milano. Ecco la prima omelia di don Piero, originario di Bergamo, che prima di diventare sacerdote ha studiato medicina e ha esercitato la professione di medico gastroenterologo e di ricercatore universitario.
Cari fratelli e sorelle, iniziamo oggi la novena in preparazione della Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Guidati dal Vangelo di oggi, anche noi rivolgiamo a Dio questa richiesta: “Maestro, da te vogliamo vedere un segno”, e nella sua infinita bontà Egli ci mostra in Maria il segno che ogni uomo desidera vedere. Come in tutti gli interventi di Dio nella storia degli uomini, contempliamo in nostra Madre, concepita senza macchia di peccato, tutta bella è Maria, il grande amore di Dio per noi uomini. Potremmo parafrasare le parole che S. Giovanni utilizza nel suo Vangelo, “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio Unigenito” (Gv 3,16), per applicarle a Maria, “Dio ha tanto amato il mondo da fargli dono di sua Madre”: la bellezza di Maria – bellezza spirituale, di creatura perfettamente trasformata dalla grazia – è il dono che Dio ci fa perché, fra altre cose, possiamo renderci conto di quanto grande è l’amore di Dio per le sue creature. Eppure, talvolta come è difficile rimanere saldi nella convinzione della grandezza dell’amore di Dio… Nel cuore di ciascuno di noi c’è un insaziabile desiderio di bellezza, di pienezza, di felicità. Ma tante volte ci sentiamo disorientati di fronte a questo mondo così pieno di contraddizioni: ci sono tante cose belle nel mondo, ma anche tante brutture (guerra, violenza, povertà materiale e nelle relazioni interpersonali). E ci sentiamo disorientati anche di fronte alla nostra vita, anch’essa piena di contraddizioni: abbiamo slanci di generosità e di bontà, ma allo stesso tempo vediamo nella nostra vita miserie, debolezze… Siamo capaci di gesti grandi e allo stesso tempo delle miserie più meschine. Quale è dunque la verità sul mondo e sulla nostra vita? E’ possibile la felicità, quella piena che niente e nessuno può far venir meno? Oppure il nostro destino è quello della mediocrità, quello dell’accontentarsi di una vita comoda cercando di schivare le brutture e i dolori del mondo, e di fare in modo che la vita ci faccia il meno male possibile? Certo la strada dell’accontentarsi può sembrare più semplice ma è anche quella che ci fa più paura. Perché accontentarsi significa affermare che il mondo è cattivo e che il desiderio di pienezza, di bellezza e di felicità che portiamo nel cuore è solamente un’utopia che non potrà mai realizzarsi. Gesù conosce bene questa nostra paura e ce ne offre la soluzione, quella vera, definitiva: “Il vostro cuore non sia turbato. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me” (Gv 14,1). Di fronte alle contraddizioni, alle miserie e debolezze, di fronte al peccato, Gesù ci chiede di volgere il nostro sguardo a Lui, che è venuto a salvarci. Papa Francesco, nella sua enciclica Lumen fidei, scrive: “La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi… La fede… appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo” (Lumen fidei, n. 4). Le nostre miserie non sono l’ultima parola sulla vita dell’uomo perché ce n’è una più grande e definitiva: l’amore di Dio che rende possibile ciò che è impossibile alle nostre sole forze. Di fronte alla paura del pessimismo e della mediocrità, Gesù ci offre il suo sguardo sul mondo e sulla nostra vita. La bellissima lettera pastorale che il nostro vescovo, Sua Eminenza il card. Scola, ci ha scritto quest’anno – permettetemi una pausa pubblicitaria: leggetela e diffondetela – è “un invito a scoprire lo sguardo di Gesù sul mondo per impararlo” (p. 52). Perché lo sguardo di Gesù ci trasforma, donandoci uno sguardo nuovo sul mondo (cfr p. 23), il suo sguardo, lo sguardo di Dio.
E quale è lo sguardo di Dio sul mondo e sulla nostra vita?
E Dio vide che era cosa buona”, è l’espressione che riassume l’opera creatrice di Dio. Perché uscito dalle mani sapienti di Dio il mondo porta in sé un’impronta della bontà divina. Trasformato dallo sguardo di Gesù, il cristiano vede nel mondo il luogo dell’incontro con Dio. “Gesù – scrive il card. Scola nella sua lettera pastorale – ci chiede di non avere una visione ridotta, miope del mondo. Il mondo è, anzitutto, il luogo della buona semente gettata da Dio stesso perché maturi in buon grano” (p. 23-24). Il mondo è stato creato da Dio e donato all’uomo perché – creato a sua immagine e somiglianza – lo accolga e lo faccia maturare nella sua vita quotidiana e con il suo lavoro. Anni fa vidi alla televisione un’intervista a un famoso violoncellista. L’intervistatrice a un certo punto gli chiese: “Quale è il momento più emozionante di un concerto?”. Pensavo che avrebbe risposto quello degli applausi finali del pubblico, coronamento del suo impegno, e invece offrì una risposta sorprendente e bellissima: “All’inizio di ogni concerto sono molto concentrato: lentamente e in silenzio entro in scena, mi siedo e pongo il violoncello fra le gambe, appoggio l’archetto sulle corde, e mi fermo, ad occhi chiusi e in silenzio, per alcuni secondi. In questi brevi istanti, si viene a creare una profonda sintonia fra il pubblico e me, questo è il momento più emozionante. Tutti siamo in attesa di ascoltare la prima nota che uscirà dallo strumento. Anch’io sono in attesa, perché sebbene conosca a menadito lo spartito, lo abbia provato centinaia di volte e eseguito davanti al pubblico per decine, ogni concerto è una sorpresa, ogni volta è come se fosse la prima, perché lo vivo con una creatività sempre nuova”. A questo punto, l’intervistatrice fece una domanda a bruciapelo: “E Dio, anche Lui ascolta i suoi concerti?”. “Ne è entusiasta! E anche Lui vive con emozione l’attesa della prima nota”. Questo è lo sguardo di Dio sul nostro vivere quotidiano e il nostro lavoro. Ne è entusiasta perché al suo dono di un mondo impregnato della sua bontà, noi possiamo rispondere con il nostro lavoro e le attività quotidiane: che non sono mera routine, monotona mediocrità, ma hanno la forza dell’amore ricevuto e donato. San Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, spese la propria vita per diffondere il messaggio di Dio che tutti sono chiamati a questo incontro con Dio nelle realtà quotidiane e scrisse in una bellissima omelia: “Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo” (Omelia Amare il mondo appassionatamente, in “Colloqui”, 113-114).
Dio ci aspetta nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni sociali, nel risposo e nel divertimento, in tutti i colori dell’arcobaleno della nostra vita normale. E’ lì dove possiamo incontrarlo, dove corrispondere al suo amore con il nostro amore. O lo troviamo lì o non lo troveremo mai. “È in mezzo alle cose più materiali della terra – continuava San Josemaría – che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini. Dovete (…) comprendere adesso – con una luce tutta nuova – che Dio vi chiama per servirlo “nei” compiti e “attraverso” i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c’è “un qualcosa” di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire”. Il lavoro non è solo conseguimento di risultati, non è solo arrivismo, carriera, successo… Più fondamentalmente è il dono del creato che Dio pone nelle nostre mani e che ci chiede di accogliere e di trasformare con il nostro amore, per poi donarglielo. Si tratta perciò del luogo dell’incontro e del dialogo d’amore fra Dio e l’uomo. Scopriamo così che la nostra fatica di fare bene il nostro lavoro, di curare i particolari perché sia portato a termine con tutta la perfezione di cui siamo capaci, di sorridere anche alla fine di una giornata intensa, di offrirlo a Dio come un atto d’amore… tutto questo non è indifferente a Dio. Egli ci guarda e contempla il nostro sforzo. A me piace pensare che come noi, contemplando un cielo stellato in una sera d’estate oppure la bellezza di un paesaggio, ci sentiamo più vicini a Dio perché percepiamo che la bellezza del creato ci parla del suo Creatore e dell’amore con cui ce lo dona, così Dio contempla il nostro lavoro perché manifesta l’amore per Lui con cui lo abbiamo realizzato. Anche nel nostro caso possiamo dire, come il violoncellista, che Dio è entusiasta del nostro lavoro. Lì siamo chiamati a mettere in gioco le nostre capacità, a viverlo con la creatività sempre nuova dell’amore: conoscendo il suo sguardo sul nostro vivere quotidiano, ci sentiamo mossi a corrispondere con tutto l’amore di cui siamo capaci. E’ lo sguardo di Dio la vera unità di misura del nostro lavoro. Non ci sono lavori di serie A o lavori di serie B. Ciò che fa la differenza è l’amore con cui viene svolto. Anni fa ebbi modo di ascoltare un contadino che spiegava ai suoi colleghi contadini come lui vivesse la santificazione del lavoro raccogliendo asparagi, un lavoro molto faticoso perché deve essere fatto tutto a mano, cogliendo un asparago alla volta, piegando continuamente la schiena. Il contadino descriveva il proprio lavoro in questa maniera: “Mi metto davanti alla fila di asparagi che devo raccogliere, dico al mio Dio: questo è per te, per la tua gloria. E inizio il lavoro. Arrivato alla fine della fila, raddrizzo la schiena, prendo il fiasco di vino, bevo un sorso. E ripeto la sequenza con una nuova fila di asparagi”. Sicuramente il buon Dio avrà contemplato il lavoro di questo contadino come una cosa bellissima. Affidiamo a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, i propositi di vivere il nostro lavoro con lo sguardo di Dio. Lei è maestra della santificazione delle realtà quotidiane. Lavorò come madre e sposa avendo cura della propria casa. Nell’apparente monotonia dei lavori domestici – pulire la casa, lavare, preparare i pasti, tenere in ordine – seppe vivere la continua novità dell’amore per suo figlio Gesù.  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *