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CHIAMATI AD ESSERE APOSTOLI NELLA VITA QUOTIDIANA, omelia di don Piero Vavassori, 4 dicembre 2013 Duomo di Milano

Nell’omelia precedente don Piero aveva trattato il mistero della vocazione, in quella che seguì, il 4 dicembre 2013, si sofferma sulla valenza apostolica della chiamata alla vita cristiana.
Cari fratelli e sorelle, nella prima lettura di oggi abbiamo ascoltato: “Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genia di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono” (Ez 12,1). E’ parola che Dio rivolge a Ezechiele al tempo della distruzione di Gerusalemme e la deportazione di parte del popolo a Babilonia, nel VI secolo a.C., ma non è una parola morta che parla del passato, perché come sempre la parola di Dio è parola viva che ci interpella in prima persona. Anche oggi, infatti, molti nostri fratelli “hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono”. Hanno perso il senso della loro vita, cercano là dove non lo possono trovare ciò che sazi questo desiderio di felicità che il loro cuore reclama.


Travolti da mille attività, dalla frenesia del lavoro, dalla ricerca di emozioni sempre più forti, sembra a prima vista che oggi Dio sia escluso dal nostro mondo: semplicemente sembra che gli uomini non abbiano più bisogno di Lui per trovare la felicità. Ma le cose non stanno come possono sembrare a prima vista. In realtà tutto questo agitarsi è un rumoroso – anche se spesso inconscio – grido di insoddisfazione per una vita che alla fine risulta vuota e mediocre. Ma dove troveremo risposta alla nostra inquietudine? “Ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”, queste parole così belle di S. Agostino sono la risposta alla nostra domanda. Non c’è niente e nessuno che sia escluso da questa profonda inquietudine del cuore umano, e niente e nessuno che sia escluso dalla salvezza che viene da Cristo. Lui è la risposta e non ce n’è altra al di fuori di Lui.

Seguaci di Cristo: siamo chiamati per essere apostoli, per portare al mondo la sua salvezza di Cristo. Come Ezechiele, anche noi, siamo mandati in mezzo al mondo come simbolo per tutti i nostri fratelli gli uomini, per fare incontrare loro Colui che solo può soddisfare il loro cuore. Come ci ha scritto il nostro Arcivescovo nella sua ultima lettera pastorale, “non c’è niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo. Tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e tutti siamo inviati” (p. 37). “Il campo è il mondo” – come dice il titolo della lettera – perché è lì dove viviamo che possiamo trovare Cristo e è lì dove viviamo che possiamo farlo incontrare ai nostri fratelli gli uomini, nella vita quotidiana, nel lavoro, nel riposo, nelle vacanze, nelle fatiche e nelle gioie, nelle relazioni sociali, nella politica, nell’economia, nella vita domestica, nelle scuole e nelle università, nella vita reale e in quella virtuale di Internet… Nei mille colori che costituiscono l’arcobaleno della vita umana, nessuno escluso, c’è Cristo da incontrare e da portare ai nostri fratelli. Per questo, il nostro Arcivescovo ci scrive che “non dobbiamo costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani” (p. 37). Possiamo infatti sentire la tentazione di cercare la sicurezza dei “buoni” per non lasciarci “contaminare” dai cattivi. La fraternità con i nostri fratelli nella fede è cosa buona; la vita nelle parrocchie, nei movimenti, nelle associazioni e nelle altre realtà ecclesiali è cosa molto buona e deve essere fomentata, perché ci fa crescere, ci rende più saldi nella fede. Però la nostra vita cristiana non deve chiudersi in un “recinto”. Piuttosto è come un distributore di benzina: abbiamo bisogno di andare a fare il pieno, però poi l’auto non può rimanere parcheggiata dal benzinaio, ma andare per le strade del mondo. Tempo fa ascoltai un giovane signora, molto buona, che raccontava di come fosse riuscita a portare a un’attività parrocchiale tutte le mamme dei bambini della stessa classe di catechismo di suo figlio. Lo diceva giustamente contenta per il risultato ottenuto. La persona che l’ascoltava fu contenta di questa notizia ma subito aggiunse: “Sono molto contento di quello che hai fatto. Però non puoi sentirti soddisfatta. C’è ancora molta gente che ha bisogno di incontrare Cristo. Molto bene le mamme del catechismo, ma le signore del tuo condominio? E le cassiere del supermarket e le negozianti del tuo quartiere? Le mamme di scuola di tuo figlio? E le professoresse? E le tue colleghe di lavoro?”. Gesù non è rimasto là in alto nei cieli a guardare gli uomini indaffarati nelle loro mille attività, ma è sceso in mezzo a noi, si è fatto uno di noi, vivendo in tutto e per tutto le nostre aspirazioni, i problemi, le gioie e i dolori… E noi, come suoi seguaci, siamo chiamati a far sì che, con le nostre vite, Gesù possa continuare a entrare nella storia della vita degli uomini e “fecondare con la sua presenza rinnovatrice tutta la realtà (p. 39). Per poter portare Cristo in mezzo al mondo bisogna in primo luogo essere trasformati dalla fede: solo così potremo dare agli uomini ciò che abbiamo ricevuto. Per questo ogni donna e uomo che voglia essere autentico testimone in mezzo al mondo deve lasciarsi trasformare dalla grazia. Il primo passo di ogni apostolato è la preghiera e la vita dei sacramenti: la Messa, la confessione, la preghiera quotidiana. Ma, poi, avanti! In mezzo al mondo! E non in forza di chissà quale incarico ufficiale, ma per la forza del Battesimo che, incorporandoci a Cristo, ci rende apostoli, capaci di farlo incontrare agli uomini.
Non si tratta semplicemente di trasmettere dei messaggi, delle dottrine, delle “teorie”, ma di camminare insieme a loro lungo le strade della vita e, attraverso la nostra amicizia, fare scoprire il cuore di Cristo. Ciò di cui i nostri fratelli gli uomini hanno bisogno è di essere amati, stimati, compresi. San Josemaría diceva che l’apostolato deve essere di “amicizia e confidenza”. La luce che il cristiano porta nel mondo non è quella di una stella, che illumina però è fredda e distante, ma quella di un fuoco, che illumina e scalda. Non ci sono realtà che ci sono escluse, in tutte viviamo e in tutte siamo chiamati a portare il calore di Cristo, attraverso la nostra simpatia, il sincero interessamento, il saperci far carico dei problemi di coloro che ci stanno accanto, il saper comprendere, perdonare, scusare,il confrontarci però con un atteggiamento di dialogo non di scontro… Come ha fatto Gesù nel suo percorrere le strade del mondo, non possiamo accontentarci di dare il buon esempio. Sicuramente la coerenza di vita è importante. Il primo passo per portare la luce di Cristo negli ambienti di lavoro, di studio, di relazione è vivere coerentemente con i nostri ideali. Mostrare con la nostra vita che è possibile vivere cristianamente nel mondo contemporaneo e che la nostra vita è appagante, è felice…Ma l’esempio di una vita coerente non basta. La luce da sola non basta, c’è bisogno anche del calore. Ciò che il cuore dell’uomo chiede è una luce che scalda. All’esempio deve essere associata l’amicizia e l’amicizia richiede anche la parola. Testimoni di Cristo significa anche parlare di Lui, saper continuamente rinviare a Lui affinché chi ci sta vicino scopra perché siamo contenti, come mai abbiamo una vita piena di senso…Una piccola storia, molto normale come costantemente se ne verificano, che ascoltai anni fa e che mi sembra riesca molto bene a esemplificare ciò che ho appena detto. Un impiegato, buon cristiano, si sentì porre questa domanda da parte di un collega vicino di scrivania: “Tu hai i miei stessi problemi. Fai il mio stesso lavoro, hai figli adolescenti che fanno disperare, hai difficoltà come me di pagare il mutuo per la casa, abbiamo lo stesso capo ufficio che non fa altro che gridarci contro… Io vivo costantemente arrabbiato per una vita che è piena di difficoltà, e sono scontroso con quelli che mi circondano. Mi spieghi come mai tu invece sei allegro e vivi i problemi con più serenità, e si vede che cerchi di essere amabile?”. E nella sua risposta gli spiegò il senso della sua vita cristiana. Da quell’incontro iniziò un percorso di conversione per il collega perché aveva trovato accanto a se una luce calda che lo portò a scoprire il cuore di Cristo.
A Maria, Madre degli Apostoli, affidiamo i nostri desideri e propositi di portare Cristo in mezzo al mondo. Lei ci protegge e come buona Madre ci porta per mano da Gesù. A Te, Madre nostra, affidiamo il nostro apostolato nella vita quotidiana.

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