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PAPA FRANCESCO: UNA TESTIMONIANZA PERSONALE DA BUENOS AIRES, di Mariano Fazio

Sono molto contento di postare su questo blog una parte del libro di Mariano Fazio di cui vedete la copertina, delle edizioni Ares. Sono molto grato a Mariano Fazio di aver scritto questo libro. E’ come se avesse letto nel pensiero mio e di molti: tu che hai avuto  la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo, raccontaci. Quando fu eletto papa Bergoglio proprio un anno fa, il 13 marzo del 2013, subito il mio pensiero andò a Mariano, e pochi giorni dopo ricevetti un allegato con vari episodi personali di incontri con Card. Bergoglio a Buenos Aires. Mariano era arrivato a Roma per studiare teologia, nel mio stesso anno il 1980. Poi abbiamo seguito sentieri diversi di studi, e mentre io dopo il dottorato a Pamplona mi dedicavo alla pastorale, lui proseguiva brillantemente a studiare a Roma filosofia contemporanea e storia delle idee contemporanee e altre cose molto interessanti. Poi è stato per molti anni rettore della Pontificia Università della Santa Croce, nonché primo decano della facoltà di Comunicazioni Sociali Istituzionali di quella stessa Università, finché il Prelato dell’Opus Dei gli ha chiesto di tornare in Argentina, prima come Direttore Spirituale e poi come suo Vicario per quella terra lontana. Così ha potuto continuare a frequentare il card. Bergoglio che aveva conosciuto in  precedenza. Nel suo libro non si limita a raccontare episodi, ma da professore di storia delle idee e del pensiero qual’è,, offre chiavi di lettura, attinge ai discorsi e lettere del periodo di Buenos Aires. Ma qui oggi pubblico, grazie alla gentile concessione delle Edizioni Ares, solo l’introduzione e l’ultimo capitolo, quelli più densi di testimonianze personali. Buona lettura che ci accompagni ad accompagnare il Papa in questi giorni di festa e di preghiera.


Nel suo intervento durante le congregazioni previe al conclave, il cardinale Jorge Mario Bergoglio tratteggiò in brevi frasi la necessità di evangelizzare il mondo – ragion d’essere della Chiesa – evitando un atteggiamento autoreferenziale e mondano, per uscire incontro alle anime. Fece riferimento al fatto che è lo stesso Gesù Cristo a spingerci dal di dentro. «Nell’Apocalisse Gesù dice che è alla porta e bussa. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che bussa da fuori perché vuole entrare… Ma penso alle volte in cui Gesù bussa da dentro perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale vuole Gesù Cristo dentro di sé e non gli permette di uscire».
Negli appunti del suo intervento, che furono pubblicati, con l’autorizzazione del Papa, dal cardinale dell’Avana, Jaime Lucas Ortega, Bergoglio conclude: «Pensando al prossimo papa: un uomo che, a partire dalla contemplazione di Gesù Cristo e dall’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da sé stessa verso le periferie esistenziali, che l’aiuti a essere madre feconda che vive “la dolce e confortante gioia di evangelizzare”».
Il 13 marzo 2013, mossi dallo Spirito Santo, i cardinali riuniti in conclave dopo la sorprendente notizia della rinuncia di Benedetto XVI, elessero, come 265° successore di san Pietro, Jorge Mario Bergoglio, l’uomo che ai loro occhi riuniva la condizioni per portare la Chiesa verso le periferie esistenziali. Egli stesso si definì come il papa venuto dalla fine del mondo, ed è sempre più noto il suo lavoro pastorale a Buenos Aires proprio a favore delle persone che – da una prospettiva mondana – sono considerate inesubero, periferiche.
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Il libro che il lettore ha tra le mani è stato scritto ancora con la sorpresa e l’emozione che ho provato all’annuncio del cardinal Tauran. L’ho scritto velocemente – la data dell’edizione originale è molto vicina a quel 13 marzo – ma con serietà e con la convinzione personale della necessità di far conoscere le radici spirituali di Papa Francesco.
Spero di contribuire con queste brevi pagine a una maggiore conoscenza della sua personalità, che aiuti i cattolici a unirsi di più, affettivamente ed effettivamente, alla persona del Romano Pontefice. Che sia una realtà per tutti quell’anelito di un santo del nostro tempo, san Josemaría Escrivá: «Omnes cum Petro ad Iesum per Mariam! – che tutti, ben uniti al Papa, andiamo a Gesù attraverso Maria»1.
Ho avuto la fortuna di frequentare il cardinal Bergoglio con assiduità a partire dal 2000. Ho condiviso con lui e con altri vescovi argentini l’esperienza indimenticabile della V Assemblea Generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi, dal 13 al 31 maggio 2007, in Aparecida, Brasile. Abitavamo nello stesso albergo e la convivenza quotidiana mi fece approfondire la sua conoscenza. Al mio ritorno in Argentina, nel 2008, dopo ventisette anni di assenza, riprendemmo a frequentarci. Attualmente sono il vicario regionale della Prelatura dell’Opus Dei in Argentina e, a causa di questo incarico, il rapporto si è intensificato. Conservo sue lettere, il ricordo delle telefonate familiari e ravvicinate, delle preoccupazioni condivise.
Le pagine che seguono non saranno principalmente di testimonianza. Si basano soprattutto sui suoi scritti e sulle sue dichiarazioni. Lo schema è semplice. Nel primo capitolo viene tracciata una biografia essenziale del Papa, dalla prospettiva della sua vocazione nella Chiesa. In seguito saranno descritti alcuni tratti della sua vita spirituale per affacciarci poi alle diverse manifestazioni del suo fervore apostolico: uscire incontro alle anime, implementare una pastorale fondata sulla memoria dei beni che il Signore ci ha dato – all’umanità, a ogni popolo, a ciascuna persona –, dialogare con tutti – cristiani, ebrei, credenti di altre religioni, atei – per giungere alla verità di Colui che disse di sé: Io sono la Via, la Verità e la Vita (Gv 14,6). Il libro si conclude con una testimonianza personale e in appendice è riportato un testo del cardinal Bergoglio rivolto ai sacerdoti di Buenos Aires nel 2007, che esprime molto bene il suo stile personale e apostolico.
Nota all’edizione italiana
Papa Francesco si presentò agli occhi dell’umanità come il Papa venuto dalla fine del mondo. I mass media, com’è logico, sottolinearono la sua origine argentina e latino americana, ma immediatamente si resero note le sue origini familiari, al cento per cento italiane, anzi, piemontesi e liguri. Fin dalle sue prime apparizioni in pubblico si guadagnò la stima del popolo italiano ed egli stesso fece riferimento alle proprie origini.
La vocazione di Francesco nasce in un focolare di tradizioni cristiane, portate dall’Italia a Buenos Aires negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Italiana è stata la letteratura su cui si formò – in un’intervista ha dichiarato di aver letto quattro volte I Promessi Sposi – e respira italianità da tutti i pori.
Anch’io sono di origini italiane, come quasi la metà degli argentini. Sono orgoglioso di discendere da emigranti di Varazze e di Sestri Levante. Ho vissuto per molti anni in Italia, e la considero la mia seconda patria. Mi ha sempre divertito il fatto che qualunque italo argentino che facesse le cose bene, venisse considerato come oriundo. Invece, quando un italo argentino faceva le cose male – nello sport o nelle cronache della polizia – ebbene, quel tale non era oriundo, ma semplicemente argentino o sudamericano.
Sono sicuro che Papa Francesco sarà considerato membro vivo della comunità italiana. Oriundo, che innesta la fede ricevuta in famiglia con la tradizione due volte millenaria della Penisola. Francesco è un ulteriore frutto di questa tradizione, che non solo non si deve perdere, ma che va potenziata per il bene di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità. Confido che nel pontificato che da poco ha preso avvio, molti frutti apostolici serviranno a rinvigorire – ringiovanendola – l’identità cattolica dell’amata Italia.
Buenos Aires, 14 giugno 2013
  
VI. UNA TESTIMONIANZA PERSONALE
Il cardinal Bergoglio, personalità che sfugge alla notorietà sociale e alla spettacolarità, ha avuto tre momenti di risonanza universale. Il primo fu durante il Sinodo dei Vescovi del 2001. Era relatore il cardinale Egan, di New York, che dovette abbandonare l’assemblea per la tragedia dell’11 settembre. Lo rimpiazzò il cardinale argentino, che impressionò per la sua capacità di ascolto attento e di coordinamento dei lavori sinodali.
Il secondo momento fu il Conclave del 2005. Secondo fonti giornalistiche, un buon numero di cardinali aveva votato Bergoglio. Posso confermare, da conversazioni con il cardinale, l’adesione a tutti evidente, l’ammirazione e l’affetto che portava a Benedetto XVI, del quale apprezzava in particolare l’amicizia e il ricco magistero.
La terza circostanza che fece di Bergoglio un centro di attenzione internazionale fu il suo intervento nell’Assemblea di vescovi di Aparecida, nel 2007.
Nelle pagine che seguono narrerò alcuni ricordi dei miei incontri con lui. Non per vanità personale, ma perché l’esperienza diretta riflette più chiaramente il carattere e l’indole di una persona. Nel 2000 ho conosciuto l’Arcivescovo di Buenos Aires, che mi ricevette con grande amabilità in un austero studio della curia porteña. Mi dedicò tutto il tempo che volli e mi sorprese la sua vicinanza di fronte a una persona che non aveva visto in vita sua. L’oggetto della visita era parlargli della Pontificia Università della Santa Croce, l’istituzione romana dove lavoravo, per fargli conoscere i nuovi corsi di formazione.
Dopo lo rividi varie volte a Roma. Ne ricordo una in particolare. Mons. Cipriano Calderón Polo, all’epoca vicepresidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, al quale mi univa una stretta amicizia, mi invitò a pranzo a casa sua, vicino al Vaticano, dicendo semplicemente che sarebbero venuti anche alcuni amici. Quale sorpresa nel comprovare che «gli amici» erano i cardinali di Buenos Aires, Lima, Bogotà e il Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana! Al termine, il cardinal Bergoglio si offrì di accompagnarmi alla sede della Pontificia Università della Santa Croce, giacché alloggiava nella vicina Casa Internazionale del Clero, la stessa in cui abitò prima del conclave, e alla quale volle tornare, da Papa, per saldare il conto. In una conversazione amena e piena di senso soprannaturale mi andò spiegando alcune delle sue visioni della Chiesa in Argentina e con un sorriso mi disse: «Ti mostro un percorso più breve tra il Vaticano e la tua università», cosa che fece conducendomi per vicoli e viuzze a me sconosciute. Dopo ho verificato che effettivamente era la via più breve.
Lo incontrai in altre occasioni e si mostrò sempre vicino, affettuoso, fraterno. Ma il momento per approfondire il nostro rapporto e intavolare un’amicizia fondata su una migliore conoscenza lo offrì la V Assemblea Generale dell’Episcopato Latinoamericano, tenutasi ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio 2007. Ne partecipavo come perito, nominato dal Santo Padre Benedetto XVI. Quando arrivai ad Aparecida mi comunicarono che avrei risieduto nello stesso albergo dei vescovi argentini. Erano ventisei anni che avevo l’asciato l’Argentina e il rapporto con i vescovi del mio Paese era sporadico. Fu il cardinale a presentarmi ai suoi confratelli vescovi e mi invitò a fare vita comune con loro. Fu un gesto di carità, poiché io non appartenevo alla delegazione argentina. Condivisi con lui i pasti, le camminate e il lavoro. La sua vicinanza mi emozionava. Mi parlò di amici comuni, sempre in tono positivo e affettuoso. Ricordo un particolare che non ha troppa importanza ma che parla della sua grande umanità. Il nostro soggiorno in Aparecida coincise con la festa nazionale argentina. La diocesi di Aparecida offrì sempre vino brasiliano a cena, ma il cardinale quel giorno volle omaggiare tutti con bottiglie di vino argentino.
L’esperienza di Aparecida fu molto arricchente e vi potei comprovare il grande prestigio di cui godeva l’Arcivescovo di Buenos Aires tra i confratelli nell’episcopato. Fu eletto con schiacciante maggioranza a presiedere il comitato di redazione del documento finale, funzione chiave che lo portò a lavorare intensamente all’elaborazione del testo con l’aiuto di altri vescovi e dei periti. Non perse mai la calma e coordinò sempre tutte le cose con una pace che gli veniva dal cuore. Presiedette una delle prime concelebrazioni nel santuario e dopo l’omelia scoppiò un caloroso applauso, mai più ripetuto lungo l’assemblea episcopale.
In Aparecida c’è molto del pensiero di papa Francesco. Anche se il documento finale è un’opera collettiva, il comitato di redazione lasciò visibilmente la sua impronta. Alcune delle preoccupazioni pastorali che abbiamo segnalato nelle pagine precedenti sono centrali nel Documento de Aparecida: la necessità dell’incontro personale con Gesù per essere autentici discepoli missionari, la convenienza di ripensare le strutture pastorali per uscire incontro alla gente, l’importanza radicale della religiosità popolare, sono alcuni degli elementi più «bergogliani» di quelle pagine. Alla presidente argentina, nell’udienza citata, regalò una copia del Documento finale, dicendole che glielo dava «perché colga ciò che pensiamo noi pastori latinoamericani». Una lettura attenta del documento apporterà molte luci per comprendere più in profondità Papa Francesco62.
Nel 2008 tornai nella mia terra, dopo ventisette anni di assenza. Un giorno, la mattina presto, suonò il telefono di casa. Era Bergoglio, che domandava com’era andata l’operazione fatta a un vescovo che in quei giorni era mio ospite. Gli trasmisi i dati, ci intrattenemmo in una conversazione molto affettuosa e piena di humour, e mi disse che gli piacerebbe visitare quel vescovo non appena stesse un po’ meglio. Ci mettemmo d’accordo perché venisse a vederlo pochi giorni dopo. Manifestò molta sollecitudine e un autentico interesse per quel suo fratello nell’episcopato. Dopo una cordiale conversazione e una visita accurata alla cappella, che elogiò perché rende facile la preghiera, riuscii a convincerlo di lasciarsi accompagnare in auto fino alla curia. È noto che prendeva sempre i mezzi pubblici di trasporto. Nel tragitto, di una mezz’ora, parlò con grande entusiasmo del magistero di Benedetto XVI e di qualche situazione congiunturale del Paese, manifestando sempre senso soprannaturale e uno sguardo interessato alle vicissitudini terrene, trascendendole in un’ottica spirituale.
Le conversazioni mantenute con il cardinal Bergoglio lungo questi anni a Buenos Aires sono sempre state piene di fiducia, affetto e buon umore. Due appuntamenti annuali erano fissi: gli auguri di Natale – il cardinale apriva le porte della curia ed entrava a salutarlo chiunque lo volesse. Io ci andavo presto, per stare più a lungo con lui – e la messa in onore di san Josemaría, il 26 giugno, abitualmente celebrata dal cardinale in cattedrale. Aggiungo che il cardinale si è recato a pregare presso le spoglie di san Josemaría nella chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace in Roma. Inoltre, andai a trovarlo per diverse questioni. Una di quelle volte, quando gli parlai di un film, mi confidò che molti anni prima, alla vigilia della Madonna della Mercede, stava guardando la televisione con altre persone e venne fuori un programma sconveniente. In quel momento fece alla Madonna la promessa di non vedere mai più la televisione. Aveva compiuto la promessa e guardava soltanto qualche notizia quando i suoi collaboratori gli dicevano che si trattava di una cosa importante. Preferiva aggiornarsi dai giornali.
Come ho già raccontato, ogni volta che gli inviavo qualcosa mi rispondeva per iscritto, a mano. Ho diverse lettere e biglietti che conservo come un tesoro. In una mi scrive: «Mi auguro che ti sia passata l’influenza», e in un’altra, con divertita complicità, rispose a una mia lettera nella quale gli dicevo che nel mio ultimo libro, dedicato all’evangelizzazione dell’America, citavo un suo testo; gli spiegavo che avevo riportato alcune sue parole sulla religiosità popolare in primo luogo perché mi erano piaciute molto e in secondo luogo – con ironia propria di noi porteños – perché volevo fare bella figura con lui. Nel biglietto di risposta mi scrisse: «Per quanto riguarda le citazioni nella conclusione sono un passo in più verso la “citazione” negli annunci funebri de La Nación», uno dei quotidiani più letti del Paese. In definitiva la «citazione» che gli importava di più [in spagnolo la parola «cita» ha il duplice significato di citazione e di appuntamento] era quella con Dio dopo la morte.
L’ultima volta che lo incontrai fu in occasione di un ricevimento nella nunziatura apostolica di Buenos Aires. Eravamo stati convocati per una certa ora, ma io arrivai con un ritardo di quindici minuti mentre il cardinale, che era giunto puntuale, stava uscendo. Ci troviamo sulla porta. Con la disinvoltura consentita dalla fiducia che Jorge Mario Bergoglio ispirava, in tono scherzoso gli dissi all’incirca: «Non c’era bisogno che mi accogliesse sulla porta». Al che il cardinale rispose con lo stesso tono e con espressione porteña: «Sós un caradura» [sei una facciatosta], con un grande sorriso.
Quando raccontavo questi piccoli episodi in diverse riunioni a Buenos Aires, varie persone mi narrarono a loro volta cose molto simili accadute nel loro rapporto con il cardinale. Ne riporto tre.
Un giornalista specializzato in informazione religiosa, al quale mi unisce un’amicizia fraterna, era presente a una riunione col cardinale. Il giornalista gli chiese di pregare per lui perché il giorno dopo gli dovevano praticare una biopsia per vedere si aveva una malattia grave. Passarono i mesi e si rividero di nuovo, e il cardinale gli domandò: «Devo continuare a pregare?». Il giornalista, la cui biopsia aveva dato esiti lusinghieri, si era dimenticato di aver chiesto preghiere al cardinale, e replicò perfino: «Continuare a pregare per che cosa?». Bergoglio invece non se ne era scordato.
Un medico amico ha tre figli celiaci. Partecipò con uno di loro a una ordinazione diaconale dell’arcidiocesi. Al momento della comunione davano molti avvisi ma nulla si disse sui celiaci. Di ritorno a casa, il medico scrisse una lettera al cardinale lamentandosi della poca previsione per quei casi. Con gran sorpresa, pochi giorni dopo ricevette una lettera del cardinale – che conosceva solo di vista – chiedendogli perdono per il disguido, dando la colpa a sé stesso e promettendo che non solo avrebbe provveduto ma lo avrebbe fatto presente agli altri vescovi. E così fu: nella successiva celebrazione liturgica organizzata dall’arcivescovado, diedero indicazioni concrete per la comunione dei celiaci, e la cosa si è stessa in tutto il Paese.
Un altro amico mi ha raccontato questo aneddoto: «Io attendevo una persona all’ingresso della cattedrale, a mezzogiorno. Dopo poco uscì il cardinale, in clergyman e con una cartella in mano. Iniziò a salutare alle persone che chiedevano l’elemosina. Li chiamava per nome! Chiedeva loro dei familiari. A una signora anziana, se avevano dimesso la figlia. A una donna più giovane, parlò dei suoi figli: le raccomandava di non perderli di vista e di non fidarsi troppo della cura delle nonne che, troppo consenzienti, a volte lasciano che i ragazzi vadano in strada. Sarò stato per più di dieci minuti ad attendere il mio amico, ed egli continuava a parlare con loro. I fedeli entravano e uscivano dalla cattedrale ma nessuno si fermò. Tutti guardavamo con sorpresa. Quando arrivò il mio amico e me ne andai, sentivo che il cardinale continuava a parlare e ad ascoltare con attenzione i mendicanti. Rimasi molto commosso e fu per me un segnale d’allarme, vedere come dobbiamo trattare tutte le persone».
Un cuore aperto a tutti, un cuore alla misura del cuore di Cristo.
EPILOGO (NON SOLO) PER SPAGNOLI & LATINOAMERICANI
Il 13 marzo 2013 percorrevo i settecento chilometri da Buenos Aires a Córdoba su un’auto che scivolava veloce per le autostrade. Mi chiamarono al cellulare avvisandomi della fumata bianca. Accesi la radio e mi sintonizzai su un’emittente della provincia di Córdoba, a diffusione nazionale. Mi fece piacere il tono dei giornalisti, felici di avere un nuovo papa, benché non sapessero ancora chi era l’eletto. Incominciarono a giungere in radio sms, mail, chiamate. Tutti i commenti era di gioia e di gratitudine al Signore. Una persona disse: «Ho il presentimento che sarà argentino». Dentro di me pensai: «Questa è matta».
Trascorsa circa un’ora, ascoltai la voce tremante del Cardinale Tauran. Quando disse, in latino, Jorge Mario, non ci potevo credere. Mi vennero molti pensieri alla mente e al cuore, poiché lo avevo frequentato con assiduità a Buenos Aires. Ma ebbi poco tempo per pensare, perché il cellulare ribolliva di chiamate e messaggi.
Arrivai a Córdoba, dove mi attendeva un impegno pastorale assai intenso. Cambiai subito il tema delle meditazioni e delle conversazioni, per centrare tutto sull’amore al papa che, per di più, era argentino. Il clima di festa e di sorpresa che si visse in quei giorni nel Paese è indescrivibile, e mentre scrivo queste pagine si sta configurando un clima di rinnovato interesse e di vicinanza alla Chiesa che costituisce un’opportunità unica per i cattolici: aiutare i nostri fratelli, persone di fede per tradizione ma poco praticanti, a tornare alle fonti della grazia.
Questo libro vide la luce per la prima volta in Spagna. Che cosa dice agli spagnoli l’elezione alla Sede di Pietro di un papa proveniente dall’Ispanoamerica? Da una prospettiva esclusivamente di fede, aggiunge poco al Romano Pontefice essere originario di un luogo o di un altro. Ma tenendo presente la logica dell’incarnazione della fede cristiana, l’elezione di un papa argentino parla di una maturità della Chiesa nel subcontinente americano che affonda le sue radici nell’evangelizzazione portata a termine dagli spagnoli fin dalla fine del XV secolo. Papa Bergoglio ha una visione integratrice della culturale latinoamericana. Abbiamo avuto occasione di riportare alcuni testi. Soprattutto nella religiosità popolare il Papa vede l’indio, il nero, lo spagnolo, uniti malgrado tante discordie e ingiustizie. Rifugge da una lettura manichea e non dimentica che i principali difensori dei diritti naturali degli indios e degli schiavi furono spagnoli non meno dei loro oppressori. Nel dialogo col rabbino Skorka, Bergoglio afferma: «Quando si parla della partecipazione della Chiesa alla conquista spagnola, bisogna tenere conto del fatto che il continente americano non era un’uni­tà armonica di popoli originari, ma un luogo segna­to dal dominio dei più forti sui più deboli. Erano già in guerra. È una realtà: c’erano popoli soggiogati dai più forti, dai più sviluppati, per esempio gli Incas. L’interpretazione storica va fatta utilizzando l’erme­neutica dell’epoca; finché continuiamo a usare un’er­meneutica estrapolata, stravolgiamo la storia e non la comprendiamo. Se non studiamo i contesti culturali finiamo per dare letture anacronistiche, fuori luogo […]. Come si sottolineano gli abusi degli spagnoli – perché è evidente che vennero a fare affari in queste terre, a portarsi via l’oro –, così, nell’epoca della Conquista, ci furono anche uomini di Chiesa che si dedicarono alla predicazione e all’assi­stenza, come fra Bartolomé de las Casas, difensore de­gli ìndìos di fronte ai soprusi dei conquistatori. Nel­la stragrande maggioranza dei casi erano uomini miti che si avvicinavano agli índios e cercavano di dare loro una dignità. Uomini costretti a confrontarsi con costumi differenti, come la poligamia, i sacrifici uma­ni, l’alcolismo»64.
Tristemente, in alcuni settori della cultura spagnola c’è una specie di vergogna per il lavoro svolto dai loro antenati in America. Non vogliamo cadere nella leggenda aurea o rosa, ma neppure in quella nera. Contemplare a Roma un figlio delle terre evangelizzate dalla Spagna dev’essere motivo di profonda gratitudine al Signore della Storia, lasciando da parte atteggiamenti alla moda, politicamente corretti ma ideologizzati, che manipolano una storia che, come tutto ciò che gli uomini intraprendono, ha le sue luci e le sue ombre. Più luci che ombre, se consideriamo i frutti della fede nel continente, come ebbe a indicare Giovanni Paolo II nel 1992.
Noi latinoamericani, come suggerisce il Documento de Aparecida, dobbiamo ringraziare il Signore del grande dono che abbiamo ricevuto da altre mani a partire dal XVI secolo, ma che abbiamo saputo conservare malgrado le fiacchezze, le tiepidezze e le incoerenze che non mancano mai lungo la storia. Papa Francesco appartiene alla Chiesa universale. Ma come raccomanda egli stesso, non dubito che «farà memoria» e avrà tutti i popoli fratelli nella testa e nel cuore. Cogliamo l’occasione che la Provvidenza ci offre per «fare memoria» anche noi, e riscoprire la nostra identità, profondamente cattolica, che significa universale: aperta al dialogo, disposta ad accogliere tutti, specialmente i più bisognosi, prediletti del Signore.
Finisco con delle riflessioni di san Josemaría, che acquistano oggi luci nuove: «La nostra Santa Madre Chiesa, in magnifica espansione di amore, va spargendo la semente del Vangelo per tutto il mondo. Da Roma alla periferia. – Collaborando a questa espansione, per l’orbe intero, porta al Papa la periferia, perché tutta la terra sia un solo gregge e un solo Pastore: un solo apostolato!»



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