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IN MORTE DELLO ZIO MASSIMO, omelia

Mio fratello Stefano, lo zio Massimo, mio nipote Nicolò

Il 15 novembre mio zio Massimo ha avuto un arresto cardiaco mentre era in cura cardiologica a Niguarda. Subito operato non ha potuto sopravvivere ai danni cerebrali subiti ed è morto mercoledì 22 novembre. Sabato 25 novembre ho celebrato insieme al parroco don Maurizio, nella parrocchia di san Dionigi a Milano, il suo funerale. Molti dei presenti erano contenti dell’omelia che ho fatto. La considero un grazia:  non era facile. Eppure mi sentivo avvolto di serenità e di pace. Li ha aiutati a vivere una celebrazione straordinariamente raccolta, la chiesa piena di gente. Le musiche di Bach che gli piacevano. Marito e moglie tenore e soprano, che mio fratello Stefano è riuscito a contattare, hanno cantato Dies Iesu, Signore delle cime, Panis Angelicus, Ave Maria. Per questo ho pensato di sistemare gli appunti che avevo preparato aggiungendo quanto detto a braccio. In ricordo dello zio Massimo e con gratitudine a lui. Anche se si potrebbero dire mille altre cose…
Lui era solito dirmi qualcosa dopo le omelie che sentiva da me. Anni fa, in una celebrazione di un evento familiare, mi disse che ero stato troppo dotto e cerebrale e quindi ero risultato freddo. Ho cercato di fare tesoro dei suoi insegnamenti e in altre occasioni mi aveva lodato per questo: avevo ascoltato il consiglio, ero stato più caldo e vicino al sentire dei familiari che erano presenti a quella messa. Questa volta la moglie Tullia (stavano per celebrare 50 anni di matrimonio) mi ha detto che le era piaciuta l’omelia (“te lo dico io perchè lo sai che Massimo te lo avrebbe detto…”). Non posso tenermela per me…


Eccola: 

Cara Tullia, cari Alessandra e Gabriele, ci siamo già salutati prima della Messa, ci salutiamo ancora adesso. A me tocca il compito di dire ad alta voce quello che sta nel cuore di tutti, a nome di tutti. Mentre ascoltavo le letture che abbiamo scelto insieme, che sono per i credenti parole che esprimono ciò che Dio vuole dirci e illuminano i nostri giorni come lampada sui nostri passi, avevo in mente, come voi,  Massimo e il suo percorso di vita. Abbiamo letto nel libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccheràla loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, essi sono nella pace”( Sap 3, 1-2). Sono parole che esprimono il contrasto tra quello che noi percepiamo della morte, lo strazio del distacco, e ciò che sta al di là, ciò di cui Massimo sta facendo esperienza. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici. Li ha provati e li ha trovati degni di sé. Sono parole che ci danno una luce forse, per comprendere ciò che ci ha investito. E anche una luce misteriosa su quell’al di là: Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli. Noi credenti oggi offriamo a Dio il sacrificio della morte del Figlio che risorge, questo è la Messa, perché Massimo possa unirsi a questa morte, che risorge. Chiediamo nella nostra preghiera che sia così come dice il libro della Sapienza (che richiama la saggezza che a lui era tanto cara): che possa risplendere e correre come scintilla nella stoppia. E’ consolante sapere che anche dopo la morte ci possa continuare ad essere una grande attività di aiuto verso coloro che vivono l’esperienza terrena. Chiediamo a  Dio che è Amore, che anche Massimo, come coloro che sono  fedeli nell’amore, rimanga presso di lui.
Il Salmo 22 che abbiamo letto come risonanza nel nostro cuore di ciò che abbiamo ascoltato, sembra scritto per lui e per noi. Nella nostra preghiera chiediamo a Gesù che Massimo, nell’incontro con lui, conoscendolo così come egli è, come dice san Giovanni, abbia potuto ricevere quella piccola pietra bianca, di cui parla l’Apocalisse, su cui è scritto il suo vero nome, che significa il senso vero e ultimo della sua esistenza. Abbia potuto riconoscere che, come lui si è dedicato nella vita a guidare innumerevoli persone, le più diverse, sulle cime dei monti, (pensiamo alle Dolomiti di Brenta, allo Sciliar, al Sassolungo, alla Grigna, al Monte Rosa, al K2 e tanti monti lontani), nelle vicende della vita, negli intricati problemi professionali che si dedicava a risolvere, nei problemi umani, (pensiamo a tutti i progetti per salvare i bambini con cardiopatie congenite di Kalikot nel Nepal), così abbia potuto scoprire con stupore che anche per lui, lungo tutta la sua vita, Il Signore è stato davvero il suo pastore. Che lo ha ispirato e guidato. E ha fatto con Massimo proprio come Massimo faceva come guida (provate a ricordare…): Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
(La zia Carla mi raccontava che in gita, le raccomandava sempre di bere!)
Rinfranca l’anima mia,mi guida per il giusto cammino  Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me.
Cosi fa il buon Pastore con noi sempre. E’ contento il Buon Pastore che ci siano buoni pastori che ce lo ricordano nella vita, che siano per noi, una sua immagine.
La seconda lettura, san Paolo scrive ai Corinzi, l’abbiamo scelta perchè esprime la fede nella risurrezione della nostra carne, del nostro corpo.  Fratelli (siamo) convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Nel leggere queste parole mi vengono in mente quelle altre parole di Gesù nel Vangelo di Matteo, che piace tanto al Papa Francesco ricordare: 
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
“La carne è cardine della salvezza” diceva Tertuliano agli inizi del cristianesimo. Dio ha creato il corpo, Il Figlio di Dio sì è fatto uomo prendendo la nostra carne nel grembo di una donna; è morto e risorto, e noi risorgeremo: il corpo è molto importante per Dio e per la nostra fede. 
Massimo ha avuto presente lungo la sua vita la carne del fratello e della sorella. Mia sorella Margherita mi ha mandato una frase di una lettera che Massimo le scriveva anni fa: “Il Buon Dio ha regalato ad ognuno di noi uno strumento meraviglioso… si tratta del nostro corpo.“. Mi avete raccontato che lo si vedeva piangere quando pensava a Durga, quella bambina nepalese conosciuta casualmente, o meglio provvidenzialmente,  durante un viaggio, con una malformazione congenita che se non curata l’avrebbe portata alla morte.  Ha fatto di tutto per andare a salvarla e con lei altri bambini di quella regione lontana. Quell’incontro che ha innescato poi tutta l’impresa che Massimo ha attivato, con l’aiuto di tanti, per salvare quei bambini.  

Il libro in cui Massimo racconta l’incontro con  Durga e il successivo impegno per i bambini di quella zona.

Alcuni dei parenti mi hanno suggerito di leggere il Vangelo delle beatitudini come molto adatto per questa messa. Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.  Anche a Gesù piacciono i monti (ho visto recentemente in Galilea sopra il lago di Gennesaret, il luogo che la tradizione dice essere il monte delle beatitudini, dal panorama molto bello, dolce, proprio adatto a quel discorso). 
Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Per tutti noi quella di Massimo è stata una dipartita improvvisa. Per Tullia, per i figli Alessandra e Gabriele, per i nipoti. Per tutti i fratelli e le sorelle (Alberto, Claudia, Carla, Rita, Mariateresa…) e i numerosi nipoti e pronipoti. Per tutti i parenti. Per tutti gli amici e i colleghi. Perchè per tutti Massimo aveva attenzione e cura. Non ci capacitiamo che non sia più con noi, sempre presente come era negli avvenimenti familiari, (in realtà questo è l’ultimo incontro familiare con la sua presenza…) vigile, sorridente, sportivo, attento, premuroso. Ma forse per lui non è stata così improvvisa. Forse si stava preparando. L’ho pensato leggendo una poesia di Antonia Pozzi che Alessandra mi ha fatto pervenire e che piaceva molto, insieme ad altre, a Massimo. Antonia Pozzi è forse la poetessa italiana che più ha tratto ispirazione dalla montagna, ed era presente in lei una forte ricerca di Dio. Ve la leggo. Si intitola: Funerale senza tristezza. Penso che renda presente un desiderio di Massimo che state già vivendo. Un funerale vissuto con dolore ma allo stesso tempo con serenità. 

Questo non è esser morti,
questo è tornare
al paese, alla culla:
chiaro è il giorno
come il sorriso di una madre
che aspettava.
Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
biondi: le bimbe
vestite di bianco,
col velo color della brina,
la voce colore dell’acqua
ancora viva
fra terrose prode.
Le fiammelle dei ceri, naufragate
nello splendore del mattino,
dicono quel che sia
questo vanire
delle terrene cose
-dolce-
questo tornare degli umani,
per aerei ponti
di cielo,
per candide creste di monti
sognati,
all’altra riva, ai prati
del sole.
(3 dicembre 1934)

Chiediamo al Signore, sulla base delle sue parole che Massimo, purificato dei peccati che tutti commettiamo in questa vita, purificato dall’amore che ha vissuto, dalle elemosine generose che nascostamente ha dato, possa riceve il premio dei giusti che hanno fatto opere di misericordia, il premio della beatitudine per i poveri, i miti, i misericordiosi, i puri, gli operatori di pace, gli affamati e assetati della giustizia.  

Tullia racconta che Massimo amava, forse negli ultimi tempi, conoscere e leggere le vite dei santi. Li invocheremo tra poco durante la messa, a pregare per lui. Mi avete raccontato che un mese fa, in una gita ad Alba, 
Mia cognata Stefania, Massimo e Tullia ad Alba. Foto di Stefano

lo aveva conquistato la storia di san Teobaldo, che io non conoscevo, compatrono di Alba, ciabattino del 1100, che regalava farina ai poveri, anche quella che non aveva. Poi lo affideremo anche a Santa Giuseppina Bakita, schiava venuta dall’africa, che abitava a Schio quando lui nacque lì, la famiglia sfollata, settimo figlio, in piena guerra, con mio nonno al fronte, grazie alla generosità e all’amore per la vita dei suoi genitori (i miei nonni) Daria e Amatore. Fu battezzato, l’8 settembre del 1943, data tragica per gli eventi pubblici, ma pur sempre il giorno della nascita di Maria per la Chiesa: affidiamo Massimo a Maria Nascente. Lo affidiamo a Gesù nostro Salvatore: penso che lo abbia guardato con particolare affetto lungo tutta la sua vita e nella sua brevissima malattia. Me lo immagino che guardando il cuore di Massimo, che i chirurghi avevano aperto per tentare di guarirlo, vi abbia visto una rappresentazione del suo cuore aperto sulla Croce, aperto per tutti, anche per Massimo. E poi ha pianto con Tullia, con i figli, con noi e con i parenti tutti, come pianse con Maria di Betania quando gli morì Lazzaro, l’amico suo. Pur sapendo che sarebbe da lì a poco risorto.





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