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“GIUSEPPE E MARIA” SU FRATE INDOVINO

 Nel numero di dicembre del 2019, la rivista “Frate Indovino”, che arriva nelle case di duecentomila abbonati, pubblica una bellissima recensione del direttore Giuseppe Zois sul libro “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore” insieme ad un’intervista all’autore e alla pubblicazione di uno stralcio del capitolo sulla nascita di Gesù a Betlemme, con quattro acquerelli di Anna Maria Trevisan. Giuseppe Zois ha conosciuto il libro e se ne è appassionato, in occasione della presentazione che ha curato presso il santuario della Madonna d’Altino in Val Seriana, a fine luglio 2019. Lo ringrazio per questa recensione così elogiativa, per l’intervista e la valorizzazione natalizia del libro.

Ecco la trascrizione del testo.


La luminosa grandezza di una perenne attualità

Affascinante viaggio dentro la vita di Giuseppe e Maria nell’originale ambientazione fatta da Andrea Mardegan

Si dice, e ciascuno può costatare quanto sia vero, che l’uomo d’oggi ha disimparato a guardare in alto, al Cielo con la sua lezione di vita. “Lassù” è un avverbio uscito dal nostro linguaggio e dalla nostra familiarità. Siamo troppo presi dalla quotidianità, dal vortice delle cose da fare. Tiriamo dritto, andiamo avanti. Non troviamo il tempo per alzare gli occhi in quel luogo “là, in alto”. Le troppe luci delle notti d’oggi ci hanno tolto la poesia e l’incanto del cielo stellato, con l’insegnamento che discende per il cammino di ciascuno. Abbiamo però bisogno di punti luminosi, soprattutto quando i passi rischiano di essere incerti, come in questo tempo di confusione estesa e di parallelo disorientamento.

fornirci una preziosa bussola per un itinerario sicuro, dove brilla di continuo la speranza, ci sono due figure che si offrono da oltre duemila anni per accompagnare l’umanità. I loro nomi sono conosciuti – e portati – in tutto il mondo: Giuseppe e Maria. Maestri di percorsi con la loro vita dove il viaggio, spesso verso l’insicurezza dell’ignoto, è stato molto presente: Maria, giovane donna che accetta di ritrovarsi misteriosamente madre di Dio e Giuseppe che dopo i comprensibili e angosciosi tormenti, acconsente di fare da padre putativo a questo uomo-Dio che va a nascere da loro. “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore” è un’esperienza tradotta in un libro di rara intensità emotiva oltre che letteraria e spirituale. A tracciare questa rotta è Andrea Mardegan, autore di pagine che prendono e coinvolgono, con il pregio non comune di saper rendere vicini, nostri compagni di tragitto, una donna e un uomo che dominano i secoli prima di tutto con la loro grandezza nell’umiltà. Nel libro di Mardegan, che è prete, ma prima ancora uomo, non si va a finire – come qualcuno potrebbe pensare per la sua appartenenza – in un’agiografia o in una predica, con tutte le caratteristiche del caso. Un pregio di rilievo in questo autore è proprio la capacità di staccarsi dal suo “mestiere”

di annunciatore di Dio con strade o, meglio, sentieri obbligati, una sorta di copione naturale per un sacerdote. No, Mardegan si stacca da questo tracciato: la traiettoria del suo percorso si libra nel cielo, un po’ alla maniera del Gabbiano Jonathan Livingston che non vuole accontentarsi di apprendere – del volo – solo le nozioni elementari, finalizzate a planare sulla costa dov’è il cibo e poi tornare a casa. A quel gabbiano, più di tutto importava alzarsi verso il cielo per respirarne la bellezza. Si delineano così e prendono una fattezza nuova, pur muovendosi in un solco antico, volti che è piacevole anche scoprire o riscoprire, perché sono donne e uomini che ci precedono – sono andati avanti – di venti secoli e che però cogliamo con il nostro stesso sentire in una perenne attualità. Giuseppe e Maria vivono i nostri stessi travagli, con attese, dubbi, ansie, gioie e dolori. Provano le nostre preoccupazioni moltiplicate in misura esponenziale quando si pensi agli inediti scenari che la Provvidenza andava aprendo davanti a loro: dalla conoscenza e dal fidanzamento, dalla misteriosa gravidanza, poi la nascita a Betlemme, nelle condizioni che ben sappiamo, quindi la fuga in Egitto, dove industriarsi a sbarcare il lunario da stranieri in una terra sconosciuta, il successivo ritorno con l’incertezza tra Betlemme o Nazaret, infine tutto quello che è seguito nella vita pubblica di Gesù, che a Giuseppe – morto prima – è stato risparmiato. Si passa da un posto all’altro, in una successione di stupori che ci “prendono” e non ci mollano, spingendo a inoltrarci per scoprire qualcosa di nuovo, che poche volte abbiamo sentito, quantomeno in questo intenso linguaggio creativo. Ad esempio, quando l’adolescente Gesù chiede a Giuseppe di spiegargli che cos’è l’amore, avendone risposte di delicata, affascinante illuminazione. Si è letteralmente trascinati a vivere i giorni della famiglia di Nazaret da una forma di voluta ferialitá, che si manifesta anche attraverso una narrazione in prima persona, con Mardegan autore, regista, scenografo. Alcuni scampoli esemplificativi: “Mi sentivo schiacciare tra la terra e il cielo”; “Lui era custodia della mia vita”; “Suo padre Giuseppe e io lo accudivamo”; “Ci sorridevamo, complici e felici”: queste sono alcune confidenze di Maria. Giuseppe, “l’uomo giusto” del Vangelo, si racconta: “Confidarmi con Maria mi aiutava tanto”; “Ormai sei grande e posso raccontarti” (rivolto a Gesù).
Dopo pagine come quelle di Mardegan in “La nostra storia d’amore”, è garantito che si torna a guardare il cielo. E per chi non l’avesse mai fatto, c’è il piacere della scoperta!
Giuseppe Zois

Intervista con l’autore sui protagonisti del Vangelo

Giuseppe e Maria maestri di relazione nell’accettarsi
“Ci insegnano che la vita è fatta per capirsi, sostenersi e risolvere i problemi”

Don Andrea Mardegan, come le è venuta l’intuizione di quest’approccio “a Giuseppe e a Maria”?

Meditavo per capire come impostare il libro su Giuseppe che l’editore mi aveva proposto, e si è affacciata questa prospettiva, che mi è apparsa subito affascinante.

Che cosa ha scoperto, strada facendo, mentre si documentava, che non conosceva e che l’ha colpita della Sacra Famiglia di Nazaret? La fatica che devono aver fatto Maria e Giuseppe a portare questo grande mistero dentro di sé. Quale l’episodio, su tutti – e sono molti – che l’ha emozionata maggiormente?

Scoprire che il viaggio a Betlemme è stato provvidenziale per custodire il mistero dell’Incarnazione fino all’ora di Gesù. 

Cuore, sentimenti, umanità da una parte e spiritualità, fede, mistero dall’altra in che misura e in che rapporto stanno dentro le sue pagine e nella sua vita da prete?

Cerco di vivere e di insegnare che come l’umanità e la divinità sono unite in Gesù, così lo devono essere nella nostra vita.

Dovendo scegliere una virtù segnante per lei, quale indicherebbe per Giuseppe e quale per Maria?

Anche qui li terrei insieme: per entrambi la capacità di dialogo reciproco, aperto, umile, che, tra i due, nel Vangelo non è esplicitato. Dialogo per entrare in relazione, per conoscersi e capirsi, per accettarsi, per risolvere i problemi che la vita
presenta, per sostenersi, per capire insieme i disegni di Dio su di loro.

Il monaco e teologo protestante (ma ecumenico) Max Thurian ha definito la Vergine una “vivente per noi”. Lei come si sente di proporci la Madonna?

Una madre che ama e che c’è sempre. Maria fu prescelta da Dio per essere madre di Gesù: diciamo che quel “sì” all’arcangelo Gabriele le è costato non poche sofferenze e incomprensioni… Sì, per questo può aiutare ciascuno di noi a non meravigliarsi delle difficoltà che sorgono quando si dice sì a Dio.

Siamo in un tempo in cui l’apparire domina sull’essere. Nel suo ministero sacerdotale come riesce a far passare l’immagine di “operoso nascondimento e di amore vero” con cui visse Maria, “stracolma di gioia da distribuire”?

Cercando di rispondere di sì a tutto ciò che mi viene chiesto. 

Come spiega che la tenerezza, una dominante del libro, assurga a unica strada che permette al dolore di trasformarsi in amore?

Il dolore è l’altra faccia dell’amore, ma porta in sé l’insidia di dimenticarsene, e di rimanere con sé stesso, perdendo il senso del suo esistere. Se interviene un gesto o una parola di tenerezza, il dolore può ricordarsi che la sua origine, il suo motivo ultimo, è l’amore che salva.

“Dover vivere la prudenza o il coraggio”: questo il difficile bivio dove spessoci troviamo. “La prudenza è coraggio, è amore?” si domanda la Madonna. Quale la sua risposta?

A volte la prudenza è coraggio, e altre volte il coraggio è prudenza. Capiremo il da farsi meditando, e in dialogo con un amico, lo sposo con la sposa, i figli con i genitori, e tutti con Giuseppe e Maria, con Gesù e con lo Spirito Santo.

G. Z.

L’autore e il percorso 

Don Andrea Mardegan (Milano, 1955), prete da 35 anni, è laureato in Lettere e Teologia biblica. Attingendo a  un’ampia esperienza pastorale fra gli studenti universitari e con le famiglie, ora si dedica alla parola, scritta e predicata. Per le Paoline è autore di diversi libri di spiritualità: come Contemplare Cristo con gli occhi di Maria sui misteri del rosario; Il sacramento della gioia, cioè la Confessione alla luce del Vangelo e Sorpresi dall’amore. Incontri personali con Cristo, e Maria. Il mio cuore svelato. Suo titolo più recente, che sta incontrando una bella diffusione: Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore, illustrata con gli acquerelli di Anna Maria Trevisan. Dal 2012 cura il blog Tra le righe del Vangelo. Questo suo nuovo libro ha molti meriti: è appassionante, fa conoscere la Madonna di tutti i suoi non facili giorni, fa voler bene alle figure di queste pagine, i protagonisti assoluti, Maria, Giuseppe e Gesù, ma anche Anna e Gioacchino, la figura di Elisabetta, gli angeli dei sogni, i pastori, i Magi. Succede che mentre ci si inoltra nella lettura, si vuol bene alla Madonna e questo è un merito aggiuntivo non indifferente.

I disegni che illustrano il libro di Andrea Mardegan, e (alcuni) anche queste pagine sono opera di Anna Maria Trevisan. Sono dedicati ai protagonisti assoluti: Maria, Giuseppe, Gesù e le loro vite. Hanno un linguaggio di forte intensità e di grande delicatezza nel tratto.

L’incanto e l’immenso stupore della misteriosa notte di luce che da Betlemme si è irradiata all’umanità 
Un cielo terso, pieno di stelle 
Giuseppe

Il viaggio durò diversi giorni, ed era inverno. Io a piedi, lei sul dorso dell’asino. In carovane numerose. Molti si muovevano per il censimento. Il timore di non poter offrire una casa alla mia sposa nel momento così delicato del parto era per me bruciante.
Arrivati a Betlemme, mi diedi da fare per cercare un alloggio e dare a Maria un luogo protetto dove custodire la sua intimità. Al sentire più volte la frase: «Non c’è posto per voi qui», si moltiplicavano il dolore e l’ansia di non arrivare in
tempo. Maria mi rassicurava: «Troveremo. Ci sarà un posto preparato per noi dall’eternità. Dio si occuperà del suo bambino». Così mi aiutava a non sentirmi ripudiato da Dio, punito per chissà quale peccato. Coprivo Maria dal freddo e le procuravo del cibo; lei mi riempiva di parole di rassicurazione. Finalmente qualcuno ebbe pietà di noi e ci indicò una
grotta adibita a rifugio per animali. Le stalle d’inverno avevano il vantaggio di essere calde grazie alla presenza degli animali. C’era solo un bue attaccato alla greppia. Con il nostro asino e il bue c’era un po’ di tepore. Accesi un fuoco, dovetti lavorare per preparare un giaciglio di paglia pulita per Maria, per fare un po’ di pulizia in quel luogo semiabbandonato. Lei avvertiva che era giunto il momento tanto atteso. Cercai di chiudere l’apertura della grotta, da cui entrava molto freddo, con tavole di legno e un mantello. Nostalgia di Nazaret e delle cose povere ma utili che avevamo in casa. Ripensando a quei momenti, comprendo che la vicinanza costante del figlio di Dio e di sua madre, nonostante tutte le prove, mi dava una grande forza. Con Maria facevamo a gara a preoccuparci l’uno dell’altra. Aver trovato quel
rifugio, per quanto inadatto, mi diede un po’ di pace. Entravo e uscivo per attingere acqua, per sistemare le cose. Una notte fredda e un cielo terso, pieno di stelle. In lontananza fuochi di pastori all’aperto. Nei miei percorsi notturni a Betlemme mi tornavano alla mente le parole dell’angelo a Maria: «Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc 1,32). «Anch’io sono stato chiamato dall’angelo “figlio di Davide”, ma questo non mi giova adesso – pensavo -. Non ho ricchezze, non ho una reggia da offrire al figlio di Dio». Riflettendo su queste cose con pena, mi accorsi, nel mio andirivieni, di una luminosità nuova in quella grotta buia. E udii il pianto di un bimbo rompere il silenzio. Un sobbalzo al cuore. Tutto così rapido, non me l’aspettavo. Maria, adagiata sul suo letto di paglia, lo stringeva a sé. Mi avvicinai timoroso, incerto. Che cosa devo fare? Non sarò come quei padri che esultano come vincitori con il figlio tra le braccia mentre la moglie sofferente cerca di riprendersi. Io so che non posso esultare come se fosse mio. Maria è luminosa, come se non avesse sofferto. Io non mi lancio verso di lei. Ma lei mi fa avvicinare e mi dona il figlio tra le
braccia. È normalissimo, bellissimo. Emana luce. Siamo senza parole e lei sorride estasiata. Io non so cosa fare né cosa dire. Ma quel bambino tra le braccia mi illumina l’anima, mi scalda il cuore. Sta come con suo padre. Avverto una sensazione nuova. Mi sento padre di quel bambino. Non è un percorso che guido io, ma qualcosa che mi accade. Anch’io mi sentirei di esultare, di lodare Dio a gran voce. Il cuore mi scoppia di gioia (…). Cerchiamo un luogo dove adagiare il bambino. C’è una mangiatoia, è adatta: lo protegge dal freddo, gli animali vicini lo scaldano con il tepore del loro fiato. Prendo paglia nuova e pulita e la sistemo. Il mantello ripiegato fa da coperta. Maria prende dalla sua sacca le fasce portate da casa. Avvolge il bambino com’è nostra abitudine. Insieme lo adagiamo. Gli occhi non si staccano da
lui. Stupore pieno di gioia. Maria in estasi di fronte al bimbo. Cerco ancora legna per il fuoco. Cerco cibo e acqua per Maria, è importante per il latte.

Maria

Suo padre Giuseppe e io lo accudivamo

Dio mi regalò Giuseppe: gliene sarò sempre infinitamente grata. Senza di lui nulla sarebbe stato possibile di ciò che accadde quella notte. Giuseppe scelto da Dio come custode del bambino e mio. Giuseppe testimone di quella notte: ha visto e anche lui ha custodito nel cuore. Avrei desiderato sicurezza e silenzio di preghiera. Invece ci furono freddo e preoccupazione. Ma il mio Signore ci donò pazienza nell’ansietà, silenzio nella confusione e l’amore tra noi due e per il
bambino in mezzo all’indifferenza della gente. Adagiata in quella grotta sulla paglia asciutta, una luce si fece strada attraverso il mio grembo. Poco dopo, tra le braccia avevo il bambino, che guardavo con stupore e piena di gratitudine.
Subito lo avvolsi con un panno bianco che avevo portato da casa. Era come tutti i bambini, ma con qualcosa di speciale.
Percepivo già un accenno di sorriso. Capivo che riceveva con gioia la tenerezza immensa con la quale suo padre Giuseppe e io lo accudivamo e lo custodivamo. Lo allattavo e Giuseppe contemplava la scena. Il bambino gli stringeva
un dito della mano. Io baciavo Gesù e baciavo la mano di Giuseppe stretta dal bambino. L’arrivo dei pastori ci confortò immensamente. Erano timorosi e devoti. Si meravigliarono nel vedere il bambino nella mangiatoia. «L’angelo ha detto proprio così», esclamavano. Fu uno squarcio nell’indifferenza e nell’ignoranza di tutti gli altri. Dio si manifestava di nuovo a noi, ma attraverso dei pastori. Pastori come Davide, che di Dio aveva detto: «Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla» (Sal 23,1). La gioia era per tutto il popolo, non solo per noi. Non eravamo più soli. Quando gli riferirono ciò che l’angelo aveva detto, Giuseppe si stupì e fu pieno di gioia al pensiero che le parole «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14) fossero in particolare per lui. Gratitudine dell’Altissimo per Giuseppe, giovane bellissimo e forte che Dio aveva messo nella mia vita e che aveva compiuto tutto bene in una situazione difficile. A Betlemme sistemò quel luogo e poi in breve trovò una casa migliore. Potevo appoggiarmi a lui. Con il tempo imparò a essere sempre più tenero nel suo amore, ma fu subito fattivo nelle opere. Soffrivamo insieme per la lontananza dalle persone care, ma gioivamo per il dono immenso ricevuto e donato al mondo. Non volevamo accettare doni da quei pastori poveri, ma ci costrinsero a farlo e noi davvero non avevamo nulla.




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