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CIAO, MADRE, su “Maria con te” dell’8 dicembre 2019


Nel numero dell’8 dicembre di “Maria con te” ci sono molti articoli interessanti intorno al dogma dell’Immacolata Concezione di Maria e alla sua devozione. Nella mia rubrica proseguo a commentare invocazioni della salve Regina. Torno sul saluto “Salve” che ripetiamo una seconda volta dopo le varie invocazioni; Regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza, speranza nostra. Con un accenno alla storia dell’indio Juan Diego di cui celebriamo la memoria il 9 dicembre.
LA DOMANDA

Tra alcuni amici serpeggia la polemica sull’impegno di papa Francesco nel campo dell’ecologia. Dicono che il Papa non si dovrebbe mettere in questioni dibattute 
in campo scientifico, dovrebbe piuttosto richiamare il mondo su altri temi come l’aborto, l’eutanasia, ecc. Come posso rispondere? 
Ugo, Siena 
In vari modi. Per esempio, dicendo che il Papa richiama anche su quei temi, ma non solo su quelli, aprendo la riflessione sull’agire buono anche su tematiche forse trascurate. L’attenzione alla custodia del creato è un tema squisitamente morale: il creato è un bene che abbiamo ricevuto da custodire, coltivare e far fruttare da buoni amministratori, e ha conseguenze decisive sulla salute e il benessere delle generazioni future, vi sono implicate molte virtù cristiane e molte beatitudini. I temi di dottrina sociale della Chiesa suscitano sempre contrasti proprio perché incidono fortemente sulla vita vera e chiedono cambiamenti. È ciò che il Vangelo deve fare, diventare vita. Anche Leone XIII, che nella Rerum Novarum affrontò i temi del lavoro per umanizzarli, fu fortemente criticato. Ma grazie a quegli interventi il mondo del lavoro diventò più rispettoso dei diritti umani. 

SALVE REGINA/6

Abbiamo cominciato la Salve Regina con il saluto: Salve! Ma non basta, la vogliamo salutare ancora, come le persone che si vogliono bene. L’espressione semplice dell’amore prolungata nel tempo esprime la tensione che l’amore ha verso l’eternità, vuole durare per sempre. E in questo modo vuole anche esprimere quanto è intenso e grande. Ho digitato la parola Salve su un vocabolario latino-italiano trovato con Google. Con un sorriso ho letto la traduzione italiana che mi ha proposto: Ciao! Pensate che bello se traducessi- mo la Salve Regina così: Ciao Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza, speranza nostra, ciao! Lo prendo come un invito di Maria ad avere con lei un rapporto semplice e affettuoso come di un bimbo con sua madre. Nel racconto più antico delle apparizioni della Madonna di Guadalupe, il Nican Mopohua, notiamo il rapporto semplice tra Maria e l’indio Juan Diego: «Ella gli disse: “Juanito, mio piccolo figlio, dove vai?”. Le rispose: “Signora e Ragazza mia, sto andando in città a casa tua, per imparare le cose di Dio”. E quando Juan Diego non va all’appuntamento decisivo con Maria, la Vergine gli dice: “Che ti succede, figlio mio? Dove stai andando?”. E Juan Diego rispose al saluto, chiedendoLe: “Stai bene, o Signora mia e Ragazza mia?”. E le spiegò perché non era an- dato all’appuntamento. Dopo aver sentito il discorso di Juan Diego, la piissima Vergine rispose: “Non sono qui Io, tua Madre? Quello che ti spaventa e ti affligge non conta. Non sei forse sotto la mia ombra e protezione? Non stai sul mio cuore e fra le mie braccia? Di che cos’altro hai bisogno?”». 

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“GIUSEPPE E MARIA” SU FRATE INDOVINO

 Nel numero di dicembre del 2019, la rivista “Frate Indovino”, che arriva nelle case di duecentomila abbonati, pubblica una bellissima recensione del direttore Giuseppe Zois sul libro “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore” insieme ad un’intervista all’autore e alla pubblicazione di uno stralcio del capitolo sulla nascita di Gesù a Betlemme, con quattro acquerelli di Anna Maria Trevisan. Giuseppe Zois ha conosciuto il libro e se ne è appassionato, in occasione della presentazione che ha curato presso il santuario della Madonna d’Altino in Val Seriana, a fine luglio 2019. Lo ringrazio per questa recensione così elogiativa, per l’intervista e la valorizzazione natalizia del libro.

Ecco la trascrizione del testo.


La luminosa grandezza di una perenne attualità

Affascinante viaggio dentro la vita di Giuseppe e Maria nell’originale ambientazione fatta da Andrea Mardegan

Si dice, e ciascuno può costatare quanto sia vero, che l’uomo d’oggi ha disimparato a guardare in alto, al Cielo con la sua lezione di vita. “Lassù” è un avverbio uscito dal nostro linguaggio e dalla nostra familiarità. Siamo troppo presi dalla quotidianità, dal vortice delle cose da fare. Tiriamo dritto, andiamo avanti. Non troviamo il tempo per alzare gli occhi in quel luogo “là, in alto”. Le troppe luci delle notti d’oggi ci hanno tolto la poesia e l’incanto del cielo stellato, con l’insegnamento che discende per il cammino di ciascuno. Abbiamo però bisogno di punti luminosi, soprattutto quando i passi rischiano di essere incerti, come in questo tempo di confusione estesa e di parallelo disorientamento.

fornirci una preziosa bussola per un itinerario sicuro, dove brilla di continuo la speranza, ci sono due figure che si offrono da oltre duemila anni per accompagnare l’umanità. I loro nomi sono conosciuti – e portati – in tutto il mondo: Giuseppe e Maria. Maestri di percorsi con la loro vita dove il viaggio, spesso verso l’insicurezza dell’ignoto, è stato molto presente: Maria, giovane donna che accetta di ritrovarsi misteriosamente madre di Dio e Giuseppe che dopo i comprensibili e angosciosi tormenti, acconsente di fare da padre putativo a questo uomo-Dio che va a nascere da loro. “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore” è un’esperienza tradotta in un libro di rara intensità emotiva oltre che letteraria e spirituale. A tracciare questa rotta è Andrea Mardegan, autore di pagine che prendono e coinvolgono, con il pregio non comune di saper rendere vicini, nostri compagni di tragitto, una donna e un uomo che dominano i secoli prima di tutto con la loro grandezza nell’umiltà. Nel libro di Mardegan, che è prete, ma prima ancora uomo, non si va a finire – come qualcuno potrebbe pensare per la sua appartenenza – in un’agiografia o in una predica, con tutte le caratteristiche del caso. Un pregio di rilievo in questo autore è proprio la capacità di staccarsi dal suo “mestiere”

di annunciatore di Dio con strade o, meglio, sentieri obbligati, una sorta di copione naturale per un sacerdote. No, Mardegan si stacca da questo tracciato: la traiettoria del suo percorso si libra nel cielo, un po’ alla maniera del Gabbiano Jonathan Livingston che non vuole accontentarsi di apprendere – del volo – solo le nozioni elementari, finalizzate a planare sulla costa dov’è il cibo e poi tornare a casa. A quel gabbiano, più di tutto importava alzarsi verso il cielo per respirarne la bellezza. Si delineano così e prendono una fattezza nuova, pur muovendosi in un solco antico, volti che è piacevole anche scoprire o riscoprire, perché sono donne e uomini che ci precedono – sono andati avanti – di venti secoli e che però cogliamo con il nostro stesso sentire in una perenne attualità. Giuseppe e Maria vivono i nostri stessi travagli, con attese, dubbi, ansie, gioie e dolori. Provano le nostre preoccupazioni moltiplicate in misura esponenziale quando si pensi agli inediti scenari che la Provvidenza andava aprendo davanti a loro: dalla conoscenza e dal fidanzamento, dalla misteriosa gravidanza, poi la nascita a Betlemme, nelle condizioni che ben sappiamo, quindi la fuga in Egitto, dove industriarsi a sbarcare il lunario da stranieri in una terra sconosciuta, il successivo ritorno con l’incertezza tra Betlemme o Nazaret, infine tutto quello che è seguito nella vita pubblica di Gesù, che a Giuseppe – morto prima – è stato risparmiato. Si passa da un posto all’altro, in una successione di stupori che ci “prendono” e non ci mollano, spingendo a inoltrarci per scoprire qualcosa di nuovo, che poche volte abbiamo sentito, quantomeno in questo intenso linguaggio creativo. Ad esempio, quando l’adolescente Gesù chiede a Giuseppe di spiegargli che cos’è l’amore, avendone risposte di delicata, affascinante illuminazione. Si è letteralmente trascinati a vivere i giorni della famiglia di Nazaret da una forma di voluta ferialitá, che si manifesta anche attraverso una narrazione in prima persona, con Mardegan autore, regista, scenografo. Alcuni scampoli esemplificativi: “Mi sentivo schiacciare tra la terra e il cielo”; “Lui era custodia della mia vita”; “Suo padre Giuseppe e io lo accudivamo”; “Ci sorridevamo, complici e felici”: queste sono alcune confidenze di Maria. Giuseppe, “l’uomo giusto” del Vangelo, si racconta: “Confidarmi con Maria mi aiutava tanto”; “Ormai sei grande e posso raccontarti” (rivolto a Gesù).
Dopo pagine come quelle di Mardegan in “La nostra storia d’amore”, è garantito che si torna a guardare il cielo. E per chi non l’avesse mai fatto, c’è il piacere della scoperta!
Giuseppe Zois

Intervista con l’autore sui protagonisti del Vangelo

Giuseppe e Maria maestri di relazione nell’accettarsi
“Ci insegnano che la vita è fatta per capirsi, sostenersi e risolvere i problemi”

Don Andrea Mardegan, come le è venuta l’intuizione di quest’approccio “a Giuseppe e a Maria”?

Meditavo per capire come impostare il libro su Giuseppe che l’editore mi aveva proposto, e si è affacciata questa prospettiva, che mi è apparsa subito affascinante.

Che cosa ha scoperto, strada facendo, mentre si documentava, che non conosceva e che l’ha colpita della Sacra Famiglia di Nazaret? La fatica che devono aver fatto Maria e Giuseppe a portare questo grande mistero dentro di sé. Quale l’episodio, su tutti – e sono molti – che l’ha emozionata maggiormente?

Scoprire che il viaggio a Betlemme è stato provvidenziale per custodire il mistero dell’Incarnazione fino all’ora di Gesù. 

Cuore, sentimenti, umanità da una parte e spiritualità, fede, mistero dall’altra in che misura e in che rapporto stanno dentro le sue pagine e nella sua vita da prete?

Cerco di vivere e di insegnare che come l’umanità e la divinità sono unite in Gesù, così lo devono essere nella nostra vita.

Dovendo scegliere una virtù segnante per lei, quale indicherebbe per Giuseppe e quale per Maria?

Anche qui li terrei insieme: per entrambi la capacità di dialogo reciproco, aperto, umile, che, tra i due, nel Vangelo non è esplicitato. Dialogo per entrare in relazione, per conoscersi e capirsi, per accettarsi, per risolvere i problemi che la vita
presenta, per sostenersi, per capire insieme i disegni di Dio su di loro.

Il monaco e teologo protestante (ma ecumenico) Max Thurian ha definito la Vergine una “vivente per noi”. Lei come si sente di proporci la Madonna?

Una madre che ama e che c’è sempre. Maria fu prescelta da Dio per essere madre di Gesù: diciamo che quel “sì” all’arcangelo Gabriele le è costato non poche sofferenze e incomprensioni… Sì, per questo può aiutare ciascuno di noi a non meravigliarsi delle difficoltà che sorgono quando si dice sì a Dio.

Siamo in un tempo in cui l’apparire domina sull’essere. Nel suo ministero sacerdotale come riesce a far passare l’immagine di “operoso nascondimento e di amore vero” con cui visse Maria, “stracolma di gioia da distribuire”?

Cercando di rispondere di sì a tutto ciò che mi viene chiesto. 

Come spiega che la tenerezza, una dominante del libro, assurga a unica strada che permette al dolore di trasformarsi in amore?

Il dolore è l’altra faccia dell’amore, ma porta in sé l’insidia di dimenticarsene, e di rimanere con sé stesso, perdendo il senso del suo esistere. Se interviene un gesto o una parola di tenerezza, il dolore può ricordarsi che la sua origine, il suo motivo ultimo, è l’amore che salva.

“Dover vivere la prudenza o il coraggio”: questo il difficile bivio dove spessoci troviamo. “La prudenza è coraggio, è amore?” si domanda la Madonna. Quale la sua risposta?

A volte la prudenza è coraggio, e altre volte il coraggio è prudenza. Capiremo il da farsi meditando, e in dialogo con un amico, lo sposo con la sposa, i figli con i genitori, e tutti con Giuseppe e Maria, con Gesù e con lo Spirito Santo.

G. Z.

L’autore e il percorso 

Don Andrea Mardegan (Milano, 1955), prete da 35 anni, è laureato in Lettere e Teologia biblica. Attingendo a  un’ampia esperienza pastorale fra gli studenti universitari e con le famiglie, ora si dedica alla parola, scritta e predicata. Per le Paoline è autore di diversi libri di spiritualità: come Contemplare Cristo con gli occhi di Maria sui misteri del rosario; Il sacramento della gioia, cioè la Confessione alla luce del Vangelo e Sorpresi dall’amore. Incontri personali con Cristo, e Maria. Il mio cuore svelato. Suo titolo più recente, che sta incontrando una bella diffusione: Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore, illustrata con gli acquerelli di Anna Maria Trevisan. Dal 2012 cura il blog Tra le righe del Vangelo. Questo suo nuovo libro ha molti meriti: è appassionante, fa conoscere la Madonna di tutti i suoi non facili giorni, fa voler bene alle figure di queste pagine, i protagonisti assoluti, Maria, Giuseppe e Gesù, ma anche Anna e Gioacchino, la figura di Elisabetta, gli angeli dei sogni, i pastori, i Magi. Succede che mentre ci si inoltra nella lettura, si vuol bene alla Madonna e questo è un merito aggiuntivo non indifferente.

I disegni che illustrano il libro di Andrea Mardegan, e (alcuni) anche queste pagine sono opera di Anna Maria Trevisan. Sono dedicati ai protagonisti assoluti: Maria, Giuseppe, Gesù e le loro vite. Hanno un linguaggio di forte intensità e di grande delicatezza nel tratto.

L’incanto e l’immenso stupore della misteriosa notte di luce che da Betlemme si è irradiata all’umanità 
Un cielo terso, pieno di stelle 
Giuseppe

Il viaggio durò diversi giorni, ed era inverno. Io a piedi, lei sul dorso dell’asino. In carovane numerose. Molti si muovevano per il censimento. Il timore di non poter offrire una casa alla mia sposa nel momento così delicato del parto era per me bruciante.
Arrivati a Betlemme, mi diedi da fare per cercare un alloggio e dare a Maria un luogo protetto dove custodire la sua intimità. Al sentire più volte la frase: «Non c’è posto per voi qui», si moltiplicavano il dolore e l’ansia di non arrivare in
tempo. Maria mi rassicurava: «Troveremo. Ci sarà un posto preparato per noi dall’eternità. Dio si occuperà del suo bambino». Così mi aiutava a non sentirmi ripudiato da Dio, punito per chissà quale peccato. Coprivo Maria dal freddo e le procuravo del cibo; lei mi riempiva di parole di rassicurazione. Finalmente qualcuno ebbe pietà di noi e ci indicò una
grotta adibita a rifugio per animali. Le stalle d’inverno avevano il vantaggio di essere calde grazie alla presenza degli animali. C’era solo un bue attaccato alla greppia. Con il nostro asino e il bue c’era un po’ di tepore. Accesi un fuoco, dovetti lavorare per preparare un giaciglio di paglia pulita per Maria, per fare un po’ di pulizia in quel luogo semiabbandonato. Lei avvertiva che era giunto il momento tanto atteso. Cercai di chiudere l’apertura della grotta, da cui entrava molto freddo, con tavole di legno e un mantello. Nostalgia di Nazaret e delle cose povere ma utili che avevamo in casa. Ripensando a quei momenti, comprendo che la vicinanza costante del figlio di Dio e di sua madre, nonostante tutte le prove, mi dava una grande forza. Con Maria facevamo a gara a preoccuparci l’uno dell’altra. Aver trovato quel
rifugio, per quanto inadatto, mi diede un po’ di pace. Entravo e uscivo per attingere acqua, per sistemare le cose. Una notte fredda e un cielo terso, pieno di stelle. In lontananza fuochi di pastori all’aperto. Nei miei percorsi notturni a Betlemme mi tornavano alla mente le parole dell’angelo a Maria: «Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc 1,32). «Anch’io sono stato chiamato dall’angelo “figlio di Davide”, ma questo non mi giova adesso – pensavo -. Non ho ricchezze, non ho una reggia da offrire al figlio di Dio». Riflettendo su queste cose con pena, mi accorsi, nel mio andirivieni, di una luminosità nuova in quella grotta buia. E udii il pianto di un bimbo rompere il silenzio. Un sobbalzo al cuore. Tutto così rapido, non me l’aspettavo. Maria, adagiata sul suo letto di paglia, lo stringeva a sé. Mi avvicinai timoroso, incerto. Che cosa devo fare? Non sarò come quei padri che esultano come vincitori con il figlio tra le braccia mentre la moglie sofferente cerca di riprendersi. Io so che non posso esultare come se fosse mio. Maria è luminosa, come se non avesse sofferto. Io non mi lancio verso di lei. Ma lei mi fa avvicinare e mi dona il figlio tra le
braccia. È normalissimo, bellissimo. Emana luce. Siamo senza parole e lei sorride estasiata. Io non so cosa fare né cosa dire. Ma quel bambino tra le braccia mi illumina l’anima, mi scalda il cuore. Sta come con suo padre. Avverto una sensazione nuova. Mi sento padre di quel bambino. Non è un percorso che guido io, ma qualcosa che mi accade. Anch’io mi sentirei di esultare, di lodare Dio a gran voce. Il cuore mi scoppia di gioia (…). Cerchiamo un luogo dove adagiare il bambino. C’è una mangiatoia, è adatta: lo protegge dal freddo, gli animali vicini lo scaldano con il tepore del loro fiato. Prendo paglia nuova e pulita e la sistemo. Il mantello ripiegato fa da coperta. Maria prende dalla sua sacca le fasce portate da casa. Avvolge il bambino com’è nostra abitudine. Insieme lo adagiamo. Gli occhi non si staccano da
lui. Stupore pieno di gioia. Maria in estasi di fronte al bimbo. Cerco ancora legna per il fuoco. Cerco cibo e acqua per Maria, è importante per il latte.

Maria

Suo padre Giuseppe e io lo accudivamo

Dio mi regalò Giuseppe: gliene sarò sempre infinitamente grata. Senza di lui nulla sarebbe stato possibile di ciò che accadde quella notte. Giuseppe scelto da Dio come custode del bambino e mio. Giuseppe testimone di quella notte: ha visto e anche lui ha custodito nel cuore. Avrei desiderato sicurezza e silenzio di preghiera. Invece ci furono freddo e preoccupazione. Ma il mio Signore ci donò pazienza nell’ansietà, silenzio nella confusione e l’amore tra noi due e per il
bambino in mezzo all’indifferenza della gente. Adagiata in quella grotta sulla paglia asciutta, una luce si fece strada attraverso il mio grembo. Poco dopo, tra le braccia avevo il bambino, che guardavo con stupore e piena di gratitudine.
Subito lo avvolsi con un panno bianco che avevo portato da casa. Era come tutti i bambini, ma con qualcosa di speciale.
Percepivo già un accenno di sorriso. Capivo che riceveva con gioia la tenerezza immensa con la quale suo padre Giuseppe e io lo accudivamo e lo custodivamo. Lo allattavo e Giuseppe contemplava la scena. Il bambino gli stringeva
un dito della mano. Io baciavo Gesù e baciavo la mano di Giuseppe stretta dal bambino. L’arrivo dei pastori ci confortò immensamente. Erano timorosi e devoti. Si meravigliarono nel vedere il bambino nella mangiatoia. «L’angelo ha detto proprio così», esclamavano. Fu uno squarcio nell’indifferenza e nell’ignoranza di tutti gli altri. Dio si manifestava di nuovo a noi, ma attraverso dei pastori. Pastori come Davide, che di Dio aveva detto: «Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla» (Sal 23,1). La gioia era per tutto il popolo, non solo per noi. Non eravamo più soli. Quando gli riferirono ciò che l’angelo aveva detto, Giuseppe si stupì e fu pieno di gioia al pensiero che le parole «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14) fossero in particolare per lui. Gratitudine dell’Altissimo per Giuseppe, giovane bellissimo e forte che Dio aveva messo nella mia vita e che aveva compiuto tutto bene in una situazione difficile. A Betlemme sistemò quel luogo e poi in breve trovò una casa migliore. Potevo appoggiarmi a lui. Con il tempo imparò a essere sempre più tenero nel suo amore, ma fu subito fattivo nelle opere. Soffrivamo insieme per la lontananza dalle persone care, ma gioivamo per il dono immenso ricevuto e donato al mondo. Non volevamo accettare doni da quei pastori poveri, ma ci costrinsero a farlo e noi davvero non avevamo nulla.




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SPERANZA NOSTRA, in “Maria con te” del 1 dicembre 2019

Madonna del Magnificat, Schilpario (BG)
Ecco la rubrica che curo, del numero del 1 dicembre di “Maria con te”
LA DOMANDA
Dopo la morte dei miei genitori, non essendo state chiarite prima
le vicende ereditarie, ci siamo ritrovati a litigare tra fratelli. Sono andata da un prete che ci conosce e gli ho chiesto di intervenire. Ma il sacerdote si è tirato indietro: non starà sbagliando anche lui? 
Chiara, Cuneo
La cosa più probabile è che il prete abbia agito bene, ricordando- si del passo del Vangelo di Luca in cui uno dice a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». Oltre a pregare molto per i preti, conviene non chiedere loro mai di strumentalizzare le conoscenze che hanno a motivo del ministero per favori- re interessi privati, magari anche legittimi. I preti devono poter rimanere con la braccia aperte come Cristo in croce per accogliere tutti e avvicinarli a Lui. 
SPERANZA NOSTRA
Ti invochiamo continuamente come speranza nostra. Perché sei nostra speranza, Maria? Noi riponiamo la nostra speranza in Dio, Gesù è la nostra luce, il nostro sole. Ma tu ce lo hai portato sulla terra, gli hai donato il nostro corpo e un cuore come il tuo, con il tuo sì, e lui ti ha affidato a noi come madre perché tu potessi sostenerci nella speranza di ritrovarlo. San Bernardo nel canto finale del Paradiso di Dante dice a Maria: tu sei, tra i mortali, «di speranza fontana viva- ce». Fonte viva di speranza: la fai nascere in noi continuamente. Ne abbiamo un bisogno continuo. Spiega papa Francesco: «Speranza è la virtù di chi, sperimentando il conflitto, la lotta quotidiana tra la vita e la morte, tra il bene e il male, crede nella Risurrezione di Cristo, nella vittoria dell’Amore. Abbiamo sentito il Magnificat: è il cantico della speranza, è il cantico del Popolo di Dio in cammino nella storia. Il cantico di tanti santi e sante, alcuni noti, altri, moltissimi, ignoti, ma ben conosciuti a Dio, mamme, papà, catechisti, missionari, preti, suore, giovani, anche bambini, nonni, nonne: questi hanno affrontato la lotta della vita portando nel cuore la speranza dei piccoli e degli umili».  «Maria dice: “L’anima mia magnifica il Signore”», prosegue Francesco: «anche oggi canta questo la Chiesa in ogni parte del mondo. Questo cantico è particolarmente intenso là dove il Corpo di Cristo patisce oggi la Passione. Dove c’è la Croce, per noi cristiani c’è la speranza, sempre. Per questo a me piace dire: non lasciatevi rubare la speranza, perché questa forza è una grazia, un dono di Dio che ci porta avanti guardando il Cielo. E Maria è sempre lì, vicina a queste comunità, a questi nostri fratelli, cammina con loro, soffre con loro, e canta con loro il Magnificat della speranza» (Omelia, Castelgandolfo 15 agosto 2013). 

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DOLCEZZA NOSTRA, in “Maria con te” del 24 novembre 2019


Benvenuto Tisi detto Garofalo, Ferrara (+1559)
Sul numero del 24 novembre pubblico una risposta sulla preghiera e una riflessione sul nome “dolcezza” che diamo a Maria nella Salve Regina.

LA DOMANDA

Caro don Andrea, nella preghiera vorrei concentrarmi su Dio, su un brano del Vangelo, sul Crocifisso, sul Tabernacolo. Ma poi nella mente arrivano preoccupazioni su tante persone che conosco, pensieri su torti che ho subito, desideri su ciò che vorrei accadesse. Cosa mi consiglia? 
Mario, Ferrara 
Fai della tua vita l’argomento della preghiera. I desideri diventano richiesta a Dio, sempre aggiungendo: se tu lo vuoi. I torti subiti, occasione per chiedere la grazia di perdonare o per dire con Gesù: «Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno». Le preoccupazioni per le persone puoi trasformare in preghiera per loro. Le cose belle che tornano alla mente, diventano ringraziamento a Dio, per provare a ringraziare Dio anche di ciò che non ci è piaciuto. 
DOLCEZZA NOSTRA

Dolcezza, Madre di dolcezza, Dolcezza nostra. Così chiamiamo Maria nella Salve Regina. Maria è madre di Gesù che ci dice: imparate da me che sono mite e umile di cuore. La parola greca sulle labbra di Gesù nel vangelo di Matteo, che traduciamo con “mite”, nelle lettere degli apostoli viene tradotta con “dolce”. Quindi se Cristo dice: imparate da me che sono dolce, allora Maria è madre della dolcezza che è Cristo, e ci ha donato con Cristo la dolcezza di Dio che ci era stata rivelata: “Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio” (Sal 90,17). Maria, a noi vicina e da noi invocata, genera in noi Cristo e la sua dolcezza, e dunque ci aiuta a diffondere intorno noi la dolcezza di Cristo secondo l’esortazione di Paolo agli Efesini: «Vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore» (Ef 4, 1-2). Dolcezza che ci è particolarmente necessaria quando pensiamo di dover correggere un parente, il coniuge, i figli, gli alunni, i colleghi di lavoro, i fratelli in Cristo. Paolo ai Galati dice: «Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza» (Gal 6,1). Nell’ultimo secolo i Pontefici hanno parlato spesso della dolcezza di Maria. Due esempi: Pio XII l’8 dicembre 1953 disse: «Come deve essere bella la Vergine! Lo sguardo di Maria! Il sorriso di Maria! La dolcezza di Maria!». Papa Francesco in una omelia a santa Marta il 12 settembre 2013: «Oggi festeggiamo l’onomastico della Madonna. Il santo nome di Maria. Una volta questa festa si chiamava il “dolce” nome di Maria e oggi nella preghiera abbiamo chiesto la grazia di sperimentare la forza e la dolcezza di Maria. Poi è cambiato, ma nella preghiera è rimasta questa dolcezza del suo nome. Abbiamo bisogno oggi della dolcezza della Madonna per capire queste cose che Gesù ci chiede. È un elenco non facile da vivere: amate i nemici, fate del bene, prestate senza sperare nulla, a chi ti percuote sulla guancia offri anche l’altra, a chi ti strappa il mantello non rifiutare anche la tunica. Sono cose forti. Ma tutto questo, a suo modo, è stato vissuto dalla Madonna: la grazia della mansuetudine, la grazia della mitezza». 


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“GIUSEPPE E MARIA. LA NOSTRA STORIA D’AMORE”: lettura e commento a RADIO MARIA, 21 trasmissioni radio

Ho letto e commentato il mio libro “Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore”, dal 9 maggio al 17 ottobre 2019, su Radio Maria. Sono state 21 puntate nella trasmissione “Serata Sacerdotale” condotta da don Tino Rolfi che va in onda il giovedì sera dalle 21.00 alle 24.00. I miei interventi sono disponibili sul sito di Radio Maria, ma vanno cercati nell’ambito di tre ore di trasmissione. Per maggiore facilità, per chi volesse ascoltarle le metto a disposizione  in questo post. Le propongo in ordine di capitolo (c’e stato a un certo punto un salto di capitoli, che poi abbiamo recuperato) e segnalo anche la data in cui sono andate in onda. Buon ascolto e la richiesta di una piccola preghiera per l’autore, che volentieri ricambio. Comincio con le prime sette trasmissioni. Nei prossimi giorni aggiungerò le altre.

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9 maggio 2019
INTRODUZIONE AL LIBRO.
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16 maggio 2019
CAPITOLO I
LA NOSTRA STORIA D’AMORE.
Il cuore batteva più forte.
Nei miei sogni di adolescente.
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24 maggio 2019
CAPITOLO II.
LA VENUTA DELL’ANGELO SCOMPAGINO’ LA MIA VITA.
Generato di nuovo.
Tessendo il vestito nuziale.
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30 maggio 2019
CAPITOLO III.
NELLARIA IL PROFUMO DEI FIORI NUOVI  

Eri davvero la luce della mia vita 
Quel mio primo viaggio con Gesù nel grembo 
La mia vita è già tutta tua 

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6 giugno 2019 CAPITOLO IV. 
ELISABETTA FU PER ME MADRE 
La gioia indescrivibile di quellincontro  
I dolci racconti nelle sere tranquille 

Si fece sentire per la prima volta da sua madre 

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20 giugno 2019CAPITOLO V
DURANTE LA NOTTE LA RISPOSTA  
Mi sentivo schiacciare tra la terra e il cielo 
Venne a trovarmi alla fontana 

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27 giugno 2019
CAPITOLO VI
LA FESTA DI NOZZE 
Il matrimonio con un figlio in arrivo
Lui era custodia della mia vita

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4 luglio 2019
CAPITOLO VII
A BETLEMME SENZA INDUGIO
Vivevo accanto al mistero
Tutto improvviso e inaspettato 

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11 luglio 2019
CAPITOLO VIII
UN CIELO TERSO, PIENO DI STELLE
Con il bambino tra le braccia
Suo padre Giuseppe e io lo accudivamo

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18 luglio 2019
CAPITOLO IX
LAMORE CHE VINCE IL TIMORE
Ci sorridevamo, complici e felici
Gli stringevo forte la mano destra  

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8 agosto 2019
CAPITOLO X
QUEL BAGLIORE INCONSUETO NEL CIELO
Maria era con il bambino
Avrei voluto Giuseppe accanto a me

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15 agosto 2019
CAPITOLO XI
NEL PIENO DELLA NOTTE LANGELO IN SOGNO
Per me che non ricordo mai i miei sogni
Strappata a quelle pareti damore

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1 agosto 2019
CAPITOLO XII
NEI PRESSI DEL NILO
Le spiegazioni di Maria e della Scrittura
Mi guardò con un amore infinito 

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22 agosto 2019
CAPITOLO XIII
A NAZARET AVEVAMO CASA
(prima parte)
Come vaso dargilla
Gesù osservava tutte queste cose

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29 agosto 2019
CAPITOLO XIII
A NAZARET AVEVAMO CASA
(seconda parte)
Confidarmi con Maria mi aiutava tanto
Giuseppe lo prendeva con sé e lavoravano insieme

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5 settembre 2019
CAPITOLO XIV
TUTTI GLI ANNI A GERUSALEMME  PER LA PASQUA
(prima parte)
«Abbà, che cosè lamore?» 
« Ormai sei grande e posso raccontarti » 

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12 settembre 2019
CAPITOLO XIV
TUTTI GLI ANNI A GERUSALEMME  PER LA PASQUA
(seconda parte)
La paura dei rumori della notte
Come il maestro dei maestri e tutti intorno a lui

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19 settembre 2019
CAPITOLO XV
TORNAMMO A NAZARET
(prima parte)
Gesù cresceva, mi superava in statura e in forza fisica

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26 settembre 2019
CAPITOLO XV
TORNAMMO A NAZARET
(seconda parte)
Giuseppe morì per malattia improvvisa

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10 ottobre 2019
CAPITOLO XVI
GIUSEPPE NELLA VITA PUBBLICA DI GESÙ 

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16 ottobre 2019
CAPITOLO XVII
GIUSEPPE NEL MISTERO PASQUALE DI GESÙ 

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MADRE DI VITA, in “Maria con te” del 17 novembre 2019


Su MARIA CON TE del 17 novembre, in edicola dal 14 novembre, rispondo a una domanda sulle distrazioni nell’orazione, e commento l’invocazione: “Vita” che rivolgiamo a Maria nella Salve Regina.

LA DOMANDA 


Da tanto tempo mi impegno per evitare le distrazioni nella preghiera, e nella Messa. Ma tutti i miei tentativi falliscono, mi sento in colpa, come se preferissi pensare ad altro e non a Gesù e a Maria. Cosa mi consiglia? 
Adele, Forlì 
Non conviene puntare tutto sullo sforzo di non distrarsi, per- ché noi senza aiuto di Dio non possiamo nulla. Chiedilo come grazia nella preghiera: ma solo se fa piacere a Gesù e a Maria. Se a loro non interessa la tua attenzione, perché deve interessare a te? Forse Dio vuole che tu segua il cammino dell’infanzia spirituale, che tu sia come un bimbo svezzato tra le braccia di sua madre, che si distrae, dorme, e punta tutta la sua attenzione sul cibo e sul sonno e così ama sua madre e la rende contenta.
MADRE DI VITA
Nella Salve Regina, dopo aver salutato Maria come «Madre di misericordia», la salutiamo anche come «vita». Soffermiamoci su questo nome di Maria: sei vita! Come ci spieghiamo questo nome? Tante volte Gesù nei Vangeli è associato alla vita. Dice il prologo di Giovanni: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». E Gesù dice di sé: «Io sono il pane della vita… io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza… Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore… Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno… Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà… Io sono la via, la verità e la vita». 

Maria è la madre di questa Vita, colei che ha dato la vita umana al figlio di Dio che ha abitato nel suo grembo per nove mesi e poi l’ha curato, custodito, salvato dai pericoli. Possiamo chiamarla “Madre della vita”. Quando diciamo “Madre di misericordia”, possiamo pensare di applicare anche ai nomi successivi l’appellativo di Madre: sei madre di Vita, madre di dolcezza, madre di speranza. Nel senso che la generi tu, in Cristo la vita: viene dallo Spirito, ma anche da te. Ti chiamiamo Madre di vita e possiamo anche chiamarti Vita mia. Stammi vicino. Continua a donarmi la vita umana e la voglia di spendermi e di donarmi con la forza che mi dai, a me che sono tuo figlio, donami la vita di Cristo tuo figlio, nell’anima. Donami la vita dell’amore che si diffonde e si moltiplica, e non rimane mai sterile. Dona la vita dello Spirito nella Chiesa, la vita d’amore nelLe famiglie, l’amore per la vita. La vita eterna. 

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EVANGELIO Y VIDA, Palabra, noviembre de 2019

Empiezo a colaborar con la revista Palabra (Madrid) desde  noviembre 2019, escribiendo la sección “EVANGELIO Y VIDA” que recoge mensualmente seis breves comentarios del Evangelio de la Misa de los Domingos y de las Solemnidades del mes siguiente, y es a cargo de un autor distinto para cada ciclo liturgico (año A, B y C). En este mes empiezo con los Evangelios de los Domingos de Adviento, Solemnidad de Navidad y Domingo de la Sagrada Familia.  Los pongo también aquí para facilitar a los lectores. Por un error tipografico en la revista de noviembre aparece todavía el nombre del autor de los comentarios del Evangelio de los tres años anteriores. En la edición de diciembre se aclarará la errata. 
EVANGELIO Y VIDA 
1 de diciembre 
DOMINGO I DE ADVIENTO 
Jesús compara su venida con los días de Noé en el diluvio: un desastre ambiental que golpea toda la tierra. Y más adelante usa la imagen del ladrón que en la noche quiere saquear la casa: una desgracia familiar. Jesús emplea tonos y acontecimientos duros de la vida. ¿Para qué? A todos nos golpean las noticias de desgracias imprevistas: inundaciones, accidentes. Nos identificamos con las víctimas, que son como nosotros. Jesús no dice que los contemporáneos de Noé estuvieran actuando mal, sino que estaban haciendo cosas normales, como comer y beber, tomar mujer o marido. Acciones cotidianas que responden a los mandatos de Dios. Puede pasarme también a mí, que como y bebo, y tomo mujer o marido. Una vida normal. Tampoco dice que actuaban mal los dos hombres que trabajaban en los campos, o aquellas dos mujeres que estaban en el molino. También ellos estaban cumpliendo el mandato original de trabajar la tierra.

Uno logra salvarse, el otro no. Como ocurre en los accidentes de coche, de barco o de avión, uno se salva y el otro no. Jesús sabe que nos lanzamos a los periódicos, a la televisión o a internet cuando ocurre una desgracia, un atentado. Lo que Él destaca es que “no se dieron cuenta”, no estaban atentos, preparados. Y Jesús no quiere que eso nos ocurra a nosotros. Nos habla fuerte para que nos despertemos. Dice: “No sabéis en qué día vendrá vuestro Señor”. En el original griego el verbo venirestá en presente: viene. Tampoco sabéis la hora, “a la hora que menos penséis viene el Hijo del Hombre”. Habla fuer- te porque nos quiere: ha venido a salvarnos y no nos quiere perder. Como respuesta, nuestra vigilancia será vigilancia de amor, como aquella de la esposa del Cantar cuando espera al esposo (Ct 5, 2). Nos mantenemos despiertos, diciéndole como los primeros cristianos: ¡ven, Señor Jesús! Ven y no tardes. Tenemos necesidad y nostalgia de ti, una perenne sed de Amor que colme los deseos, los sueños, el corazón. Ven ahora. Necesitamos de la certeza de tu Amor que sana las heridas, llena nuestros vacíos, fortifica todos nuestros amores terrenos. Que cubre nuestros pecados y los hace desaparecer. Ven ahora. Tenemos hambre de esperanza, deseo de paz en las relaciones familiares, en los lugares de trabajo, en la sociedad, en la Iglesia, y entre los pueblos. Ser nosotros constructores de paz. Tú eres “el que viene” (Mt 21, 9) y nosotros queremos ser aquellos que “esperan con amor” tu venida (2 Tim 4, 8). En la lectura de Isaías no hay desgracias, sino el esplendor que ocurrirá al final de los días: las gentes de todos los pueblos subirán a Jerusalén, deseosas de caminar en las vías del Señor, y habrá paz entre las naciones. Jesús nos sacude porque no quiere que nos perdamos esta maravilla. 


EVANGELIO Y VIDA 
8 de diciembre 
INMACULADA CONCEPCIÓN DE MARÍA II DOMINGO DE ADVIENTO 
Cuando los discípulos de Jesús me preguntaban cómo se inició todo, dice Santa María, les contaba el anuncio del ángel. Comenzaba con las palabras con las que se empieza una historia: “Había una virgen desposada con un varón que se llamaba José, en Nazaret de Galilea. A ella, que tenía el nombre de María, le fue enviado el ángel del Señor. Entrando donde ella estaba, le dijo: ‘Alégrate, llena de gracias, el Señor está contigo’”. Miraba sus ojos asombrados cuando subrayaba la normalidad de mi vida. Todos pensaban que el Mesías tenía que venir del cielo con grandes señales. No podían imaginar que pudiera venir de una mujer, y de una mujer cualquiera. Nunca habían pensado que pudiera venir de una región de la periferia, jamás nombrada en la Escritura, donde las gentes de Galilea se habían mezclado con pueblos de otras religiones, y, por eso, eran despreciados por los fariseos, que se creían cumplidores de todas las prescripciones de la Ley. Les subrayaba el lugar donde me vino a buscar el ángel del Señor, porque sabía que era despreciado: “¿De Nazaret puede venir algo bueno?” (Jn 1,46). ¡Así le respondió Natanael a Felipe cuando le habló de Jesús! Cuando me conoció, me pidió perdón por haber pensado y dicho algo así de mi pueblo natal. ¡Cuánto he querido a Natanael, como a todos! El mismo repetía esta historia de su comentario desafortunado, para que todos entendieran el error de tener prejuicios, y que a Dios le había gustado, al hacerse como uno de nosotros, cambiar todas esas ideas equivocadas. Dios eligió a una chica que no contaba para nada. De un pueblo desconocido. Y su concepción ocurrió de un modo único y extraordinario, en medio de la paz y el silencio de un día cualquiera de primavera. Sin ningún sonido de trompetas. Lo sabía sólo yo. Esto me ha conmovido siempre. Durante algún tiempo, sólo yo fui depositaria de ese secreto: “Es bueno mantener oculto el secreto del rey” (Tb 12,7). Lo custodiaba con infinito amor. Me sorprendía que el acontecimiento más importante de la historia de los hombres pasara oculto al mundo y a la historia, en la más completa normalidad de los días siempre iguales de una chica de un pueblo de pocos habitantes. Este estilo de Dios lo he encontrado durante toda mi vida y la de Jesús. No quiso para su Hijo ningún privilegio, sino una existencia como la nuestra, normal, con todos los elementos cotidianos: las dificultades y las cosas bellas, las pruebas, tentaciones y victorias, o las liberaciones. Me maravillaba la inmensa grandeza de la iniciativa de Dios, en mi normalidad de mujer joven, a la espera de un hijo. Lo extraordinario y lo normal se mezclaban. Providencia y dificultad. Divinidad y humanidad. También las tentaciones y las pruebas forman parte de la normalidad de la vida. 

EVANGELIO Y VIDA 
15 de diciembre 
DOMINGO III DE ADVIENTO 
Cuando Juan Bautista comienza a preparar la venida del Mesías, usa palabras fuertes: “Raza de víboras, ¿quién os enseñó a huir de la ira que va a venir?” Y también: “Ya está el hacha puesta junto a la raíz de los árboles. Por tanto, todo árbol que no da buen fuego se corta y se arroja al fuego” (Mt 3, 7.10). Después de bautizar a Jesús, escucha al Padre: “Este es mi Hijo, el amado, en quien me he complacido”. Luego es arrestado por Herodes, y en la cárcel sus discípulos le informan sobre Jesús. Pero las noticias que le dan no se corresponden con sus profecías. No escucha hablar de hachas y de fuego; oye que Jesús va a la casa de los pecadores y come con ellos, los llama entre sus discípulos que no ayunan, como él ha enseñado a los suyos. Comienza a dudar: ¿me habré equivocado al interpretar las palabras que Dios me inspiraba? La duda y la incertidumbre sobre el sentido de su propia vida y del servicio a Dios embargan al que es “el más grande nacido de mujer”, uno que es “más que un profeta”, que es la voz que grita en el desierto profetizada por Isaías. Una vocación única en la historia. Si es así, también al más pequeño en el reino de los cielos le puede ocurrir esta prueba. Juan conoce las palabras de Isaías: “Decid a los inquietos: ‘Sed fuertes, no temáis. ¡He aquí vuestro Dios! Llega el desquite, la retribución de Dios. Viene en persona y os salvará’”. El Mesías está ahí fuera, va de una parte a otra, habla, cura. Pero no va a salvarlo. No se venga de Herodes que lo ha encarcelado. ¡Cuántas veces ha rezado con el Salmo 146: “El Señor libera a los cautivos… tuerce el camino de los impíos”! Pero él está en la fortaleza inexpugnable del Maqueronte y su liberación no llega. Aumenta la tentación de haberse equivocado en todo: palabras, tiempo, persona que indicó como el Mesías que viene. Sin embargo, es consciente de ser la voz del que grita en el desierto. ¿Cómo salir de la duda angustiosa? Juan, con la ayuda de los suyos, va directamente a aquel del que no se siente digno de desatar el calzado. Y le pregunta sin giros de palabras: “¿Eres tú el que debe venir o debemos esperar a otro?” Jesús le responde con las profecías de la paz: los ciegos, los mudos, los cojos, los sordos, los leprosos son curados. Pe- ro los prisioneros liberados, ¿dónde están? Dice Jesús: “a los pobres les es anunciado el evangelio”: esa es la liberación; “Bienaventurados los que no se escandalizan de mí”: eso es la liberación. Se lo comentan a Juan, que está contento de no haberse equivocado en su vocación: se empeña en purificar su interpretación de la Escritura, comienza a entender que ahora su puesto de precursor está ahí, en la cárcel, y que debe abrir camino al Mesías con una muerte violenta. Su ejemplo ilumina nuestro camino. 

EVANGELIO Y VIDA
22 de diciembre 
DOMINGO IV DE ADVIENTO 
Cuando me quedé solo, pensaba San José, me asaltó la duda sobre cómo afrontar este acontecimiento. Temía no ser digno. Pensaba: si Dios no me ha hecho saber nada, no puedo tomar a María como esposa: es esposa de Dios. No puedo aparecer como el padre del niño que él ha enviado. Me cuesta infinitamente estar fuera de la vida de María, pero ahora ella es tierra sagrada. Reflexionaba: tengo que hacer algo que disuelva el compromiso que tiene de ser mi esposa. Un acto público me parece imposible. Debería decir: este niño viene del Altísimo. Nadie me creería y la expondría al riesgo de la lapidación. Un repudio en secreto. Si es necesario tener dos testigos, los elegiremos con María. Quizá sus padres o lo míos. Pero ella no aceptará: ¿cómo puedo obligarla a revelar el secreto tan grande que tiene con Dios? Los pensamientos se arremolinaban en mí. Daba vueltas y más vueltas en mi lecho. Me asaltaban las pesadillas. Al final decidí: yo asumo toda la responsabilidad de ser su padre, y dejo en secreto a María. Desaparezco de esta ciudad. Así la compadecerán y la cuidarán como a una mujer abandonada. Y ella podrá criar a este hijo suyo y prepararlo para la misión que Dios le ha confiado. Yo huyo a Egipto. Donde nadie me conoce. La decisión tomada me dio un poco de paz, y ayudó a dormirme. Rezaba y dormía, dormía y rezaba. Invocaba al Señor para que me diese una señal que me hiciera entender que eso que estaba por hacer era su voluntad. Me llegó la respuesta del Señor, en un sueño, a través del ángel. Me oí llamar por mi nombre: “José”. Y añadió: “hijo de David”. No “hijo de Jacob”, como decía mi genealogía. Estaba dentro de esta historia por mi descendencia de David. El niño que María tenía en el seno era el prometido a David. “No temas recibir a María tu esposa”. Las palabras de Dios sanaban mi miedo de entrar en un territorio sagrado. También María era llamada por su nombre, como se hace en los matrimonios: José y María, “mi esposa”. Continuó el ángel: “Lo que en ella ha sido concebido es obra del Espíritu Santo”. Esto confirma lo que había intuido. “Dará a luz un hijo y le pondrás por nombre Jesús”. María dará a luz un niño. Yo tendré que darle el nombre. Esto significa que seré el padre delante de la ley, de los hombres, de la historia. Un nombre que no tenemos que elegir con María, porque hace referencia a su misión, que le viene de Dios: Yeshua, que quiere decir “Dios salva”. “El salvará a su pueblo de sus pecados”. Aquél signo que Acaz no quiso pedir a Dios, por miedo, yo en cambio lo pedí, lo recibí y lo comprendí: “Mirad, la virgen está encinta y dará a luz un hijo, a quien pondrán por nombre Enmanuel”. Durante siglos, nadie había sabido explicar esas palabras de Isaías. Esa profecía se estaba cumpliendo en María, en aquellos días, y yo era parte de ese acontecimiento.
EVANGELIO Y VIDA 
25 de diciembre 
SOLEMNIDAD DE LA NATIVIDAD DEL SEÑOR 
El viaje duró varios días y era invierno. Muchos estaban en camino por el censo. El temor de no poder ofrecer una casa a mi esposa en un momento tan delicado como el parto me quemaba el alma. Cuando llegamos a Belén, hice lo que puede por dar a María un lugar protegido. Al oír varias veces la frase: “No hay lugar para vosotros aquí”, se multiplicaban los dolores y la angustia de no llegar a tiempo. María me aseguraba: “Encontraremos. Será un lugar preparado para nosotros desde la eternidad. Dios se ocupará de su niño”. Así me ayudaba a no sentirme inadecuado delante de Dios. Cubría a María del frío con mi manto y le procuraba comida; ella me confortaba con sus palabras. Alguien tuvo piedad de nosotros y nos indicó una gruta que se empleaba para animales. Los establos de invierno eran calientes gracias a la presencia de animales. Sólo había un buey amarrado al pesebre. Nuestro burro y el buey daban algo de calidez al lugar. Encendí el fuego, preparé un lecho de paja limpia para María. Ella se daba cuenta de que llegaba el momento tan esperado. Traté de cerrar la apertura de la gruta, por donde entraba mucho frío, con tablas de leño y el manto. Tenía nostalgia de Nazaret y de las cosas pobres, pero útiles, que teníamos en casa. Pero la cercanía del Hijo de Dios y de su madre me daba una gran fuerza. Entraba y salía a por agua. Una noche fría y un cielo terso, lleno de estrellas. En la lejanía, se veía un fuego de pastores. Recordaba las palabras del ángel a María: “El Señor Dios le dará el trono de David su padre”. Pensaba: no tengo riquezas ni un palacio. Mientras pensaba en estas cosas, en medio de mi ir y venir, me di cuenta de una luminosidad nueva en aquella gruta oscura. El llanto de un niño rompió el silencio. Me dio un sobresalto el corazón. Todo así de rápido, no me lo esperaba. María, recostada sobre la paja, lo abrazaba. Me acerqué temeroso, incierto. No seré como esos padres que exultan con el hijo entre los brazos, mientras que la esposa trata de reposar. María está luminosa, como si no hubiera sufrido. Yo no me lanzo hacia ella. Es ella quien me invita a acercarme y pone al niño en mis brazos. Es normalísimo, bellísimo. Emana luz. Estamos sin palabras y ella sonríe. Yo no sé que hacer. Aquel niño entre los brazos me ilumina el alma, me calienta el corazón. Me hace estallar de alegría. Me vienen a los labios unas palabras de David, mi padre, que María dice conmigo. Me parecen escritas para esta noche: “Tampoco las tinieblas son para ti oscuras, pues la noche brilla como el día, las tinieblas como la luz. Tú has formado mis entrañas, me has plasmado en el vientre de mi madre. Te doy gracias porque me has hecho como un prodigio: tus obras son maravillosas, bien lo sabe mi alma” (Sal 139, 12-14). 

EVANGELIO Y VIDA 
29 de diciembre 
DOMINGO DE LA SAGRADA FAMILIA 


Dios dona a su Hijo, que toma nuestra humanidad, nace en una familia. José le da un nombre, lo protege, le enseña un trabajo, le da el afecto de un padre. María le asegura el apoyo, el alimento y el cariño como la mejor de las madres. Una nueva familia que nos recuerda aquella primera formada por Adán y Eva. Jesús tiene la ventaja de tener un padre y una madre. Adán y Eva nos los tuvieron, y el Creador, con aquella experiencia, no ha querido privar a su hijo de un padre y una madre, de una genealogía. Como nosotros. Pero en las familias que miran a la sagrada familia, surge un problema: Les vemos lejanos, ¿cómo hacer para imitarlos? ¿Quién tiene una esposa como María, un esposo como José, un hijo como Jesús? Respondemos: miren los problemas, incertidumbres y miedos que han tenido. La fuga a Egipto provocada por los Magos ingenuos que fueron a Herodes a pedir información, sin saber que mataba hijos por temor a perder el reino. José y María no se quejan, no se lamentan. Pero sufren. Los errores, incompetencias y fragilidades, también de personas que nos quieren bien, entran en el diseño de la providencia divina que orienta todo al bien. La familia de Nazaret no sigue un itinerario privilegiado. Son prófugos, exiliados, perseguidos, incomprendidos, pobres, buscando casa y trabajo. En eso los sentimos cerca. José y María se sostienen mutuamente, miran a Jesús. Escuchan a los ángeles en sueños. Hablan entre si. También nosotros podemos. El Eclesiástico nos anima, pro- metiendo maravillas a quien honra al padre y a la madre: así expía sus propios pecados y los evita, su oración será escuchada y se alegrará de sus hijos. También Pablo anima a los esposos a sobrellevarse mutuamente y a que haya dulzura entre ellos, a obedecer a los padres y a no exasperar a los hijos. Quiere decir que es posible. ¿Cómo? Revistiéndonos de Cristo, es decir de ternura entrañable, bondad, humildad, mansedumbre, magnanimidad, sobrellevándonos mutua- mente y perdonándonos unos a otros (cfr Col 3, 12-21). El Papa Francisco en Amoris Laetitia (cap. 4) nos da muchos consejos para el amor en la familia. Sugiere: “Hoy sabemos que para poder perdonar necesitamos pasar por la experiencia libera- dora de comprendernos y perdonarnos a nosotros mismos. Tantas veces nuestros errores, o la mirada crítica de las personas que amamos, nos han llevado a perder el cariño hacia nosotros mismos. Eso hace que terminemos guardándonos de los otros, escapando del afecto, llenándonos de temores en las relaciones interpersonales. Entonces, poder culpar a otros se convierte en un falso alivio. Hace falta orar con la propia historia, aceptarse a sí mismo, saber convivir con las propias limitaciones, e incluso perdonarse, para poder tener esa mis- ma actitud con los demás” (n.107). ¿Por que no probamos?