Seconda domenica in preparazione alla festa di san Giuseppe e secondo “dolore e gioia” della sua vita
Nella seconda domenica di devozione a San Giuseppe contempliamo un’altra coppia di dolore e gioia come facce di una stessa moneta.
Nella nascita di Gesù a Betlemme, l’angoscia di non trovare posto e dover preparare un posto di fortuna si unisce alla gioia ineffabile del nascita del Figlio di Dio.
Preghiera
Felicissimo Patriarca, glorioso San Giuseppe, che fosti prescelto come Padre putativo del Verbo di Dio, il dolore che provasti nel veder nascere con tanta povertà il Bambino Gesù, si cambiò subito in gaudio celeste nell’udire l’armonia angelica, nel vedere la gloria di quella notte splendente.
Per questo dolore e per questa gioia ti supplichiamo di ottenere che, dopo il cammino di questa vita, possiamo venire ad ascoltare le lodi angeliche e a godere gli splendori della gloria celeste.
CON IL BAMBINO TRA LE BRACCIA*
“Il viaggio durò diversi giorni, ed era inverno. Io a piedi, lei sul dorso dell’asino. In carovane numerose. Molti si muovevano per il censimento. Il timore di non poter offrire una casa alla mia sposa nel momento così delicato del parto era per me bruciante.
Arrivati a Betlemme, mi diedi da fare per cercare un alloggio e dare a Maria un luogo protetto dove custodire la sua intimità. Al sentire più volte la frase: « Non c’è posto per voi qui », si moltiplicavano il dolore e l’ansia di non arrivare in tempo. Maria mi rassicurava: « Troveremo. Ci sarà un posto preparato per noi dall’eternità. Dio si occuperà del suo bambino ». Così mi aiutava a non sentirmi ripudiato da Dio, punito per chissà quale peccato. Coprivo Maria dal freddo e le procuravo del cibo; lei mi riempiva di parole di rassicurazione.
Finalmente qualcuno ebbe pietà di noi e ci indicò una grotta adibita a rifugio per animali. Le stalle d’in- verno avevano il vantaggio di essere calde grazie alla presenza degli animali. C’era solo un bue attaccato alla greppia. Con il nostro asino e il bue c’era un po’ di tepore. Accesi un fuoco, dovetti lavorare per preparare un giaciglio di paglia pulita per Maria, per fare un po’ di pulizia in quel luogo semiabbandonato. Lei avvertiva che era giunto il momento tanto atteso. Cercai di chiudere l’apertura della grotta, da cui entrava molto freddo, con tavole di legno e un mantello. Nostalgia di Nazaret e delle cose povere ma utili che avevamo in casa. Ripensando a quei momenti, comprendo che la vicinanza costante del figlio di Dio e di sua madre, nonostante tutte le prove, mi dava una grande forza.
Con Maria facevamo a gara a preoccuparci l’uno dell’altra. Aver trovato quel rifugio, per quanto inadatto, mi diede un po’ di pace. Entravo e uscivo per attingere acqua, per sistemare le cose. Una notte fredda e un cielo terso, pieno di stelle. In lontananza fuochi di pastori all’aperto. Nei miei percorsi notturni a Betlemme mi tornavano alla mente le parole dell’angelo a Maria: «Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc 1,32). “Anch’io sono stato chiamato dall’angelo ‘figlio di Davide’, ma questo non mi giova adesso”, pensavo. “Non ho ricchezze, non ho una reggia da offrire al figlio di Dio”.
Riflettendo su queste cose con pena, mi accorsi, nel mio andirivieni, di una luminosità nuova in quella grotta buia. E udii il pianto di un bimbo rompere il silenzio. Un sobbalzo al cuore. Tutto così rapido, non me l’aspettavo. Maria, adagiata sul suo letto di paglia, lo stringeva a sé. Mi avvicinai timoroso, incerto.
Che cosa devo fare? Non sarò come quei padri che esultano come vincitori con il figlio tra le braccia mentre la moglie sofferente cerca di riprendersi. Io so che non posso esultare come se fosse mio. Maria è luminosa, come se non avesse sofferto. Io non mi lancio verso di lei. Ma lei mi fa avvicinare e mi dona il figlio tra le braccia. È normalissimo, bellissimo. Emana luce. Siamo senza parole e lei sorride estasiata. Io non so cosa fare né cosa dire. Ma quel bambino tra le braccia mi illumina l’anima, mi scalda il cuore. Sta come con suo padre. Avverto una sensazione nuova. Mi sento padre di quel bambino. Non è un percorso che guido io, ma qualcosa che mi accade. Anch’io mi sentirei di esultare, di lodare Dio a gran voce. Il cuore mi scoppia di gioia. Mi vengono alle labbra quelle parole del salmo di Davide mio padre e, mentre le recito, Maria si unisce a me. Ci sembrano proprio scritte per questa notte, per essere dette in pienezza a questo bambino:
Nemmeno le tenebre per te sono tenebre
e la notte è luminosa come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.
Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda;
meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l ’anima mia (Sal 139,12-14).
Cerchiamo un luogo dove adagiare il bambino. C’è una mangiatoia, è adatta: lo protegge dal freddo, gli animali vicini lo scaldano con il tepore del loro fiato. Prendo paglia nuova e pulita e la sistemo. Il mantello ripiegato fa da coperta. Maria prende dalla sua sacca le fasce portate da casa. Avvolge il bambino com’è nostra abitudine. Insieme lo adagiamo. Gli occhi non si staccano da lui. Stupore pieno di gioia. Maria in estasi di fronte al bimbo. Cerco ancora legna per il fuoco. Cerco cibo e acqua per Maria, è importante per il latte. “
* Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore, pp. 80-84
Bellissimo, grazie